Antonio Di Mauro -Società italiana spiriti-di Mirella Tribioli

Antonio Di Mauro -Società italiana spiriti- di Mirella Tribioli

Antonio Di Mauro nella sua immagine esteriore quanto interiore di gentiluomo, fatto di squisitezza e di buone maniere figura uomo di altri tempi, mentre in realtà pur nato nel 1950, non è né uomo anziano, né tanto più, vecchio, ma uomo di età grande questo sì, se non altro per la importante esperienza di un vissuto di travagli intimi e familiari, che hanno segnato in maniera decisa e amara la sua vita già nei suoi primissimi anni di infanzia e di adolescenza. Nato ad Aci Bonaccorsi (Catania), in quel distinguo di uomo siciliano qual è, incarna da subito, agli occhi di chi lo accosta, ancor più quelle movenze di uomo d'altro tempo anche per quel denso bagaglio di cultura che mostra a pie' sospinto nel suo parlare sillogistico, e in quei suoi scritti dirompenti, deflagrazioni di un pensiero che nella sua più completa forza, saldamente si insinua nella mente di chi lo legge. Scritti che nel loro alto senso di spirito critico si sentono leali e sinceri, rispettosi, nella loro discrezione, dei tempi di chi ascolta, seppure in una responsabilità di denuncia del bene e del male che in nessun modo evade, proprio per quell'essere uomo di valori che non si svende mai, con il mantenere sempre rapporti di alto livello, di rispetto verso gli altri, pur non scevri di quella qualità più coinvolgente che lo muove, quella passione tanto viva nei suoi versi. I personaggi che animano la sua poesia nel suo filo di memoria sono, talvolta, quelli che nel tempo ha sentiti avversari e che nel suo -sonno-sogno- di bambino ha combattuto come si combattono i fantasmi, anche se in un capacitato proposito ha deciso di non parlarne mai male, e soprattutto di non rinfacciarlo mai, per il piacere di essersi adoperato per quella scelta e basta, convinto che il balsamico -silenzio- adottato, sia più comunicativo di qualsiasi parola. Scrittore di grande impegno ha pubblicato diversi saggi letterari riguardanti particolarmente la poesia, e nel tempo i suoi stessi versi sono entrati in importanti riviste e nelle antologie. La sua prima pubblicazione del 1972 fu una plaquette , un piccolo opuscolo, “Diagramma”, a seguire nel 1986 pubblicò “Quartiere d'inverno” e nel 2003 “Acque del fondale”, espressione quest'ultima del rapporto eterno del destino dell'uomo in un corollario di natura, che sa di azzurro di cielo, di mare e di luce che travalica il buio che attanaglia il mondo, in una composizione di scrittura di verso che supera gli elementi strutturali della poesia lirica, già in quel suo significato di participio passato del verbo vertere che viene meno al suo significato di voltare, confermando la scelta dell'aspetto narrativo, così come con l'ellissi della metrica, della rima, della strofa e del ritmo. Ultima sua opera pubblicata nel 2019 è “Società italiana spiriti”, silloge poetica accreditata come finalista in questo 61° Premio Nazionale Poesia Frascati Antonio Seccareccia, una raccolta di narratività poetica che sviluppa a mo' di capitoli un tessuto di vita autobiografica, ed è proprio in direzione di questo aspetto che si giustifica, tra l'altro, l'adozione del sistema narrativo, non atipico esempio di moda poetica negli anni '70 e dell'esemplare poesia di Vittorio Sereni nella condizione precipua della sua arte. Il titolo potrebbe dare a credere che l'opera parli di dottrine spirituali, di un mondo esoterico, di verità occulte, dell'aldilà, quando realmente indica una piccola azienda di prodotti alcolici, una distilleria siciliana che condivide commercio con una più grande del Nord Italia, facendoci respirare la realtà sociale industriale che si avviava verso il boom economico degli anni '60. Nella descrizione di un viaggio di vita immerso in una forte “memoria” chiaro è il grido di -dolore- del nostro poeta per quel mondo sprofondato per gli affari andati male della Società Spiriti, dove suo padre aveva coinvolgimento per essere figlio d'arte in quanto suo nonno era già stato proprietario di una distilleria, e ora egli stesso con il vento in poppa, in un mondo roseo di una casa rinnovata e perfino un'amante si apprestava a implementarne una seconda. Nella sua suggestione di bimbo si figurava viaggi in continente di autotreni di distillato puro e in un aldilà possibile una congregazione ultraterrena di mutuo soccorso di entità nostrane, ricordo queste delle tante figure, personaggi del suo mondo, che avevano animato la piccola società industriale stessa, ora facenti parte come -spiriti- di quell'altrove, di quell'aldilà, di quell'oltre, quando erano state nel di qua entità di vita reale. Figure descritte in maniera minuziosa con aggettivazioni, in un senso di una parola ricca, alta, corposa, identificata dalla critica in quel lirismo barocco che fiorisce una poesia a cui ci si identifica per la sua forma di grazia. Intrigante risulta questo gioco di doppio significato, di rimando tra gli spiriti della società distillatrice e gli spiriti-persone divenute ora invisibili, seppur tra sonno e sogno rese quanto più visibili, pur se ormai figure dilatate e rarefatte. Da qui forse l'iniziale confusione nata in alcuni riguardo il titolo dell'opera? Figure che in quel gioco di specchio affisso a parete, di rimando, ci riporta con la mente a quella forma descrittiva, curata, ricca di dettagli, della innovativa pittura ad olio del fiammingo Jan Van Eicke dei coniugi Arnolfini nelle loro immagini ritratti frontalmente e nello specchio di spalle. Gioco di specchi incipit di una forma pittorica che diventerà esecutiva nel 1600 con Las Merinas di Velasquez. La pittura fiamminga non vede una grande contrapposizione tra tradizione ed innovazione nel passaggio dal Gotico Internazionale, gotico di cui il nostro Di Mauro nei suoi capisaldi culturali gode sicuramente consapevolezza, se è vero che l'alambicco troneggia nella torre della vecchia distilleria -come un santuario gotico-. Nell'entrare in maniera più dettagliata nell'opera di di Mauro, originale in questo suo paradigma di narrazione in poesia del proprio passato, certamente di pregio è la lettura dei vari segmenti che la compongono degni di “umana Pietas” Il primo “Storie dell'età dell'oro” è un po' tutta la summa della storia raccontata in questa raccolta. Una forte affabulazione, in una uscita dalle quinte di un palcoscenico tra cielo, fondale, architettura di natura e fantasia, in quello spazio scenico di terra d'origine -heimat- di casa, di luogo natio, di infanzia, di affetti sulla scia di quell'Hordelin recitativo non tanto della nostalgia romantica dell'uomo in una pallida età dell'oro, ma quanto più per il suo senso più profondo e segreto per la separazione dalla propria Patria, dalla propria terra. In questa sezione Di Mauro non esclude nulla del mondo creato, enumera i personaggi: nella sua emotività la protettiva nonna Concetta, la madre di suo padre; Michele l'operaio eroe tornato dall'America; la bella Elena, l'amante del padre di facile incontro, vistosa nei suoi capelli a toupet; l'avvocato del diavolo, ricordo del male che era entrato a colpire ad annientare tutto, fino al crollo della distilleria; il compagnetto di scuola velenoso nella parola nel rammentargli il fallimento del padre, durante un momento scolaresco gioioso quale quello della festa degli alberi, il consolatorio bastardino, indifeso cagnolino, vecchio Giulio; sua mamma che appariva bella a lui bimbo, in quel dolore percepito per l'amarezza del tradimento subito e a lui attaccatissimo, che intimidito, pauroso ogni giorno si spaventava all'idea di ritrovarla morta. Fortunatamente, però, come dice il nostro autore, la vita va avanti, fino al momento di quella sua famigliola ricomposta, con un padre ritrovato, in un puro spirito che profuma di anime. Quanti e quali bei sentimenti traspaiono da queste pagine fatte di sogni, di amore di gioia e di dolore, di solitudine, di morte, e non ultima perché in effetti sempre prima, di speranza! In maniera miniaturistica, nel proscenio di una natura interpretativa dei sentimenti umani, sono enumerati gli uomini, gli affetti, lo spazio, il tempo, quella specie di vocabolario della vita e del costume, dove tutto ha importanza e concorre a creare la storia. Il tutto in un esito di elemento unificante la luce nel suo fenomeno naturale, perché ciò che è rappresentato abbia giusto risalto e una precisa individuazione, e soprattutto nel suo aspetto metaforico. Di grande pathos è la lettura di questa sezione, dove come messaggio ultimo va letto il carezzevole significato dell'amore. Non a caso essa viene dedicata a Filemone e Bauci, i protagonisi della mitologia classica rappresentati anche nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio, i due anziani sposi che inteneriscono il cuore per il grande indissolubile amore reciproco. A confutare questo dire, tra l'altro, lo scritto introduttivo della prima pagina “Venerdì di Passione” che nel calendario liturgico è il Venerdì Santo, dove Passione qui, invece è ancor più riferito all'intensità del sentimento amoroso che è anche sofferenza per varie ragioni. La seconda sezione è “Frammenti di lettere a familiari e amici”. Il tema che ivi predomina è la morte. Le missive sono indirizzate ai cari familiari defunti, al nonno, alla madre, al padre, agli amici poeti vivi e non, ai compagni di cammino come Maurizio Cucchi e Salvo Basso. Morte che però non è mai intesa come annientamento, perché proprio in quelle emozioni di ricordi di amore e amicizia la vita sembra ancora vitale e palpabile. “Pietà del figlio” è la terza sezione. In essa ancora, si percepisce l'alito della morte, ma in una religiosa devozione. “Il vecchio saggio biascica testardo la sua oratoria...Signore l'onnipotente del Padre Abramo che salvasti dal sacrificio Isacco... Quali colpe dell'origine espiamo per tutti sulla terra... io almeno ho confessato...eppure per stare qui un qualche reato grave l'ho commesso...la mia condizione di privilegio per la salvezza eterna...potessi ancora dormire e sognare...sul lastrone di tufo intagliato deposto il corpo non è ancora rigido...il dolore trovi le sue ragioni”. E questo indicibile lamento nella sua esternazione diventa la bella preghiera di fede, dove la pietà del figlio nella sua doppia valenza di lettura, metaforicamente diventa il Cristo che con la sua nascita, morte e resurrezione ha redento l'umanità. A seguire la sezione “Dentro oltre lo sguardo” perché di infinita bellezza entra nel cuore con le varie sottosezioni -Autunnale, A luce traversa, La luce di Nisan, Latitudine di luce, Notturni- essa vede di nuovo il tempo che investe nel suo raccontare quello della distilleria, delle angosce familiari subite in quella tenerezza di addio, in quella amarezza di tradimento conosciuto dalla madre, -sacrificio della vittima predestinata- in una poesia salvifica dove -la parola diventa vivente nel corpo ineluttabile della scrittura- così come il lutto, il lamento, il silenzio e le tenebre ritornando dal buio diventano speranza, fuoco che sa di luce nella cripta del cuore-. Le poesie di “diario clinico” chiudono questa raccolta come un epilogo di un poema dove il dolore si decanta e viene a riconciliarsi in quella morte che lascia il padre -piccolo essere inerte-, ma agli occhi del figlio perché ormai -vittima purificata nel sacrificio suo stesso- diventa -degno di essere chiamato padre, ombra tra le care, figura di memoria viva- apoteotica. “Società italiana spiriti” si consegna al lettore non sempre facile di lettura, ma opera bella, bella, bella, catartica nei suoi tanti messaggi di raffinata scrittura di effetto, scolpita nelle sue parole tra immagini e sensazioni create per suscitare emozioni senza filtri tra chi scrive e il lettore, perché come decomposizione della propria anima possa servire agli altri. Ricca dei tanti rimandi culturali è nell'eco di una pascoliana, dannunziana, montaliana memoria che ben impressiona chi legge, piacendo non poco al lettore che vive altri mondi, ogni volta confacenti ai propri nuovi mutevoli sopraggiunti stati d'animo.

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