Leggere le donne tra arte e poesia - Mirella Tribioli

L'8 marzo, è la ricorrenza della “Giornata internazionale della donna”, essa vuole ricordare la distinzione di genere, non paritaria, che ancora le donne, subiscono in tante parti del mondo, nonché le conquiste sociali, politiche ed economiche che sono addivenute tramite le loro lotte, nei corsi dei tanti anni e, particolarmente nel XX secolo, nella rivendicazione dei diritti politici quali il suffragio universale. Promotrice, sostenitrice del “diritto di voto” fu, nel 1907, la marxista tedesca Rosa Luxemburg. Va ricordato che le rivendicazioni presero animo dai partiti socialisti e comunisti. Questo riconoscimento della giornata per la donna fu ufficializzato dapprima negli Stati Uniti nel 1909, a seguire in alcuni Paesi europei nel 1911 e in Italia nel 1922. La celebrazione della giornata, invece, è avvenuta nel tempo, nei vari Paesi, con date diverse: alla fine di febbraio negli Stati Uniti, intorno alla metà di marzo in alcuni Paesi europei, a maggio in Svezia e comunque sempre in concomitanza di altre ricorrenze. Come conferma di tante lotte, l’ONU nel 1975 proclamò “L’Anno internazionale delle donne”, ribadito nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1977. L’8 marzo fu scelta come data ufficiale. Data che vuole ricordare la tragedia del 1908 della fabbrica di Cotton di New York, in verità confusa con il reale dramma dell’incendio della fabbrica di Triangle, dove morirono 146 lavoratori di cui 123 donne, immigrate italiane ed ebraiche, e 23 uomini. La mimosa, fiore che esplode nella fioritura tra febbraio e marzo, è diventato il simbolo italiano di questa giornata, soprattutto perché già adoperato l’8 marzo 1946, primo anno dalla fine della seconda guerra mondiale. Ecco, è perché siamo prossimi a questa data che onora le donne, che mi è venuta idea di parlare di Vittoria Colonna, perché è colei che ha saputo far parlare della sua virtù e, prima fra le donne del Rinascimento, della sua arte poetica, portando l’attenzione sulla scrittura al femminile, cosa che fino ad allora era impensabile. Infatti dopo Saffo c’era stato il nulla, solo tanti anni di silenzio. E’ proprio con Vittoria Colonna insieme ad altre poetesse del suo tempo come Veronica Gambara, Gaspara Stampa ecc., che abbiamo nella letteratura l’affermazione di donne. Il tema del petrarchismo promosso dal Bembo ed allora in voga, era adatto alla loro sensibilità amorosa e possiamo dire che il petrarchismo, particolarmente, fu fatto proprio dalle poetesse e che il ‘500 sia sostanzialmente il secolo delle poetesse. Ce ne furono tantissime, più di quante ne avesse conosciuto fino allora la storia della letteratura, anche internazionale, infatti come codice di comunicazione raffinato fu fenomeno spagnolo, portoghese, francese, inglese, ma anche adatto a chi ambiva ad una certa elevazione. Donne che, però, per guadagnare la dignità dovevano comunque attenere al modello spirituale e letterario della cultura maschile, appunto a quel petrarchismo, che sviluppò sul finire del ‘300, nel ‘400 e soprattutto nel ‘500 e che prese a modello “Il Canzoniere” del Petrarca nei temi di amore, felicità, tormento, solitudine e morte; nelle immagini; nelle figure stilistiche; nella lirica nutrita di retorica classica, ma filtrata da una poesia provenzale. In che cosa consisteva questo petrarchismo? Secondo lo scrittore del tempo, Pietro Bembo, i caratteri potevano essere individuati nell’amore platonico e nella contemplazione della bellezza ideale, in quanto Il vero amore deve tendere alla perfezione, perché solo dall’amore divino arriva la felicità. Importante è, quindi, la ricerca della bellezza per la creazione della poesia e imitare la lingua del Petrarca che è il modello per la poesia stessa. L’ opera petrarchesca non venne, però in nessun modo, uguagliata da nessuno scrittore. I poeti particolarmente del ‘500, infatti, si attestarono per lo più in componimenti di mero esercizio o di interpretazione della propria persona. Tra i petrarchisti ricordiamo anche il grande Michelangelo Buonarroti, che confluì nella sua poesia tutto il suo forte “ego”. Questo modello di poesia fu, dunque, più congeniale alle donne e ne accrebbe l’importanza sociale, senza dimenticare, però, che il ritratto della donna di questo secolo è quello di una creatura sì gentile, ma che doveva stare al suo posto, perché comunque inferiore, capace in rari casi (perché lo studio non era per tutti, ma solo per qualcuna di nascita nobilissima, ad esempio Lucrezia Borgia) di letteratura, pittura, musica da condividere, controllata, nel salotto di casa. Donne che vivevano nella lirica d’amore del secolo, nei sonetti petrarcheschi, appunto, l’amore platonico. Creature idealizzate, non vere, non diverse dalle dame dei trovatori di Provenza di quattro secoli prima. (Anche se rispetto al fare della poesia predominante, va ricordato che già allora qualche letterato, come Cielo D’Alcamo della Scuola siciliana o a seguire Cecco Angiolieri della poesia comico realistica toscana e lo stesso Boccaccio, si attardavano a descrivere una donna più reale) Per queste donne del Rinascimento, poco era cambiato, non c’erano stati progressi rispetto ai secoli precedenti, relegate come erano ai padri ed ai mariti, escluse dal mondo. Si era spose o cortigiane. Cortigiane nel senso più riprovevole della parola. Significativo, a proposito il dire di uno scrittore del tempo Baldassare Castiglione ne “Il Cortegiano”, la sua opera più famosa, che nel delineare questa figura rende il cortigiano “nobiluomo”. Declinato al femminile la cortigiana era, invece, la prostituta. Poiché il petrarchismo era vissuto dalle poetesse e dalle cortigiane, è bene spiegare, però, che per termine cortigiana, in questo caso, fosse da intendere solamente l’accezione di “dama di corte colta”, senza riferimento in nessun modo ad alcuna ambiguità di natura sessuale, confermata dalla vita specchiata di alta morale delle stesse, in quello che era il dettame dello spirito petrarchista, ispiratore del loro sentire, della loro arte. Vittoria Colonna, la virtuosissima, figura alta e viva del Rinascimento, era sicuramente annoverata tra le poetesse, tra le spose. Nacque nel castello feudale di Marino, sui meravigliosi Colli Albani nel 1490 o come da nuovi studi nel 1492, da Fabrizio Colonna signore di Paliano e gran conestabile (alto dignitario di corte) di Napoli e da Agnese di Montefeltro, figlia del duca d’Urbino e d’una Sforza di Pesaro. La sua prima età fu poco serena in quanto il dominio della sua casata era contrastato dalla tracotanza dei Borgia. Suo padre Fabrizio si era distinto con Carlo VIII nella conquista del regno di Napoli, ma non avendo avuto adeguato riconoscimento per la sua impresa, era passato agli Aragonesi, di conseguenza, per cercare protezione, si era alleato con la famiglia d’Avalos, sostenitrice degli Spagnoli. Per meglio sugellare questo patto di alleanza, le famiglie si erano accordate, tra l’altro, per il matrimonio dei loro figlioli, è così che a soli sette anni, Vittoria fu promessa sposa a Ferdinando Francesco, detto Ferrante, d’Avalos, marchese di Pescara. Nel 1501 le terre dei Colonna furono saccheggiate dai Francesi e il papa AlessandroVI Borgia, nel suo patto filofrancese, confiscò i loro beni. La famiglia Colonna si spostò, quindi, ad Ischia presso i d’Avalos, dove rimase ospite per lungo tempo, anche perché nel frattempo la diciannovenne Vittoria con fastosissime nozze, celebrate nel 1509 nel Castello aragonese di Ischia, era diventata sposa di Ferrante: bella nell’incarnato di un viso adornato da chiome dai riflessi dorati, trapunti di fiori leggeri (come testimonia un dipinto di Michelangelo), affascinante nel suo vestito di broccato bianco con rami d’oro, adornata di un mantello azzurro. Bellezza che fu recitata da diversi poeti come Ludovico Ariosto, che nell’Orlando Furioso in riferimento al suo nome l’acclama “nata fra le vittorie”, alla stregua delle donne più importanti della mitologia. Anche Bernardo Tasso, padre di Torquato la sentì musa e così i suoi amici poeti umanisti, che in stile petrarchesco scrissero per lei poesie pervase di nostalgia e spiritualismo. I due giovani, in realtà erano entrambi colti e di rara bellezza e al di là del matrimonio combinato, si innamorarono e con autentico amore avviarono una felice vita matrimoniale che fu interrotta, però ben presto, dalle aspirazioni militari di Ferrante. Nel frattempo Papa Giulio II aveva promosso una lega antifrancese per quella che era la guerra che opponeva Ferdinando il Cattolico al re di Francia Luigi XII, a cui aveva aderito anche il re di Napoli. Insieme al suocero Fabrizio Colonna, uomo d’armi di spessore, celebrato anche da Machiavelli nei suoi “Dialoghi sull’arte della guerra”, Ferrante prese decisione di partecipare alla guerra della lega, esponendosi in diverse battaglie contro i Francesi stessi, tanto che in una, nel 1512, furono fatti prigionieri. Fu per questa occasione che Vittoria compose uno dei suoi primi scritti poetici “L’epistola” in versi, che bella nel suo tema di lontananza, lamenta con squisitezza di scrittura, il dolore per il distacco del proprio amato. Fu questo il tempo in cui Vittoria, limò il suo carattere morale e la sua cultura, supportata dalla presenza colta di Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla (per alcuni studiosi l’ispiratrice della Gioconda di Leonardo), che a sua volta amava circondarsi di letterati umanistici. Per sostenere la fama valorosa del marito, frequentò la mondanità della corte aragonese e gli ambienti di cultura di Napoli e Ischia, conoscendo molte personalità come Sannazaro ecc. Profondamente religiosa e ricca di virtù morali, già alla morte di suo marito nel 1525, causata dalle infermità seguite ai combattimenti, espresse forte volontà di ritirarsi in convento a Roma, dove pure fece qualche esperienza, peregrinando successivamente dall’uno all’altro monastero, contrastata nel prendere il velo dal papa Clemente VII e da suo fratello Ascanio, che la convinse a ritornare a Marino, anche per sanare i cattivi rapporti tra la Chiesa ed i Colonna stessi, cosa che non fece comunque recedere Clemente VII dall’abbattimento del castello marinese. Vittoria, passando per Napoli ritornò allora al caro rifugio di Ischia, dove rimase quasi ininterrottamente fino al 1536. Qui nel suo spirito di fede e carità accolse le tante sventurate vittime del sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi del 1527. Diede il suo contributo per salvare lo stesso papa, che per riconoscimento gli diede in dono il feudo di Pescocostanzo, che da quel tempo, per il suo apporto culturale, migliorò tantissimo il suo aspetto urbanistico secondo il canone rinascimentale, di cui ancora oggi gode testimonianza. Per le sue qualità morali e la sua cultura, Vittoria fu stimata da imperatori e papi, le fu amico il cardinale Bembo. Paolo III Farnese, papa dal 1534, tenne in considerazione i suoi consigli per la Chiesa e perfino per la nomina dei porporati. Donna intelligente partecipò ai dibattiti teologici del tempo (1538/1540), era questo un momento travagliato per le incipienti teorie luterane, che porteranno a seguire alla Riforma e alla Controriforma. Aperta al dialogo luterano, si avvicinò ai porporati progressisti che caldeggiavano lo spirito primitivo del Vangelo, anche per evitare uno scisma. Questa sua scelta la rese invisa ad alcuni che la considerarono eretica, condizione che compromise la sua sepoltura, con la scomparsa delle sue spoglie mortali. A Roma, conobbe, Michelangelo (1538) che si legò a lei di grande amicizia e con il quale tenne un continuo carteggio, espressione delle loro travagliate vite. Si racconta che questa relazione amicale riuscì, addirittura, a mitigare il carattere dell’artista. Nella scia di quello che era il platonismo amoroso ascetico verso Dio, canone prettamente petrarchista, il tanto discusso amore tra Michelangelo e Vittoria non fu, dunque, altro che quello di due anime gemelle bramose di bellezza spirituale e nel suo significato morale il provvidenziale incontro di Dante con la sua Beatrice. Vittoria morì nel 1547 confortata dalla presenza del suo amico, che attonito le tenne le mani sino al momento estremo. Il pittore la onorò con alcune sue opere, oltre al ritratto già citato, ricordiamo una Pietà e la Crocifissione: disegni molto espressivi, a gessetto su carta. Vittoria Colonna raffinata poetessa, fu sicuramente tra i petrarchisti, quella più degna di nota, tanto che è della critica l’appellativo “la Petrarca al femminile”. I temi le sono pertinenti, tutti: il dissidio interiore, l’amore che procura la felicità ed il tormento, le emozioni devastanti che portano al malessere fisico, il senso attanagliante di solitudine, l’amore che brama la morte, per porre fine alla sofferenza ecc. La sua produzione poetica può essere divisa in tre periodi, nel primo datato prima del 1538, troviamo rime amorose e rime spirituali; tra il 1538/1540 ancor di più rime denuncianti il sofferto problema religioso e tra il 1540/1547 il tema religioso stesso diventa più dominante, il motivo primario di riflessione della sua lirica. Le rime amorose sono la dichiarazione di tutta la sua sofferenza nel sentimento di solitudine per la lontananza dell’amato in guerra, nel desolante abbandono al dolore, per l’ingrata sorte avuta, la prematura funesta morte del marito. Passano gli anni di vedovanza, ma non cessa il pianto per la morte del suo amato bene. Le rime sono la testimonianza ancora della sua costanza di amore e fedeltà e o che si trovi nella sua dimora o in convento, non cambia lo sfogo di scrivere “del bel sole perduto”. Giovane e bella come era, nei suoi trentacinque anni, aveva molti pretendenti, graditi per ragioni politiche ai suoi fratelli, ma il suo diniego era netto, solita nel dire che “Il suo sole dagli altri reputato morto, per lei era ancora vivo”. La sua raccolta poetica è il primo Canzoniere femminile (1538) e inevitabilmente diviene riferimento per le scrittrici del tempo. Ad imitatio del Canzoniere petrarchesco suddivide l’opera in due parti, In vita ed in morte dell’amato, usando una fedeltà al modello sino a comporre “i centoni”, l’utilizzo dei versi altrui. Del Petrarca respira anche le descrizioni del creato e della natura. Quella natura che è la cornice dei vari posti in cui dimora, testimoniata nei diversi componimenti dove il riferimento del verde fiume e dell’azzurro mare, diventa simbiotico dei suoi sentimenti di amore, solitudine, di nobiltà d’animo. Intrigante è la figura a tutto tondo di Vittoria Colonna. Belle le sue poesie dallo stile uniforme ed armonioso, dai sentimenti di amore vero, che si posano sul cuore. A quale strazio la mia vita adduce Amor, che oscuro il chiaro sol mi rende, e nel mio petto al suo apparire accende maggior disio della mia vaga luce Tutto il bel che natura a noi produce, che tanto aggrada a chi men vede e intende, più di pace mi toglie, e sì m'offende, ch' a più caldi sospir mi riconduce. Se verde prato e se fior vari miro, priva d'ogni sp'eranza trema l'alma: ché rinverde' Il pensier del suo bel frutto che morte svelse. A lui la grave salma tolse un dolce e brevissimo sospiro, e a me lasciò l'amaro eterno lutto. Mirella Tribioli

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