Seminari

La Casa degli Sguardi - Daniele Mencarelli

Presentazione del primo libro di narrativa del poeta Daniele Mencarelli con la partecipazione ed il commento di Arnaldo Colasanti. Uno straordinario percorso di vita dell'autore che attraversa la sofferenza del mondo ospedaliero vissuta in prima persona durante una indimenticabile e dura esperienza lavorativa presso l'ospedale pediatrico Banbino Gesù di Roma. Un libro da non perdere.

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La sfida di Facebook - Marco Castellani

Questo intervento vuole riprendere idealmente il filo dei quindici minuti di Giuseppina Nieddu, del 22 gennaio di quest’anno, che aveva a tema l’impatto dei social media – ed in particolare di Facebook – sul nostro percorso, appagante e faticoso, verso un modo nuovo di essere uomini, e perciò stesso, verso un mondo nuovo. Un che contiene diversi temi su cui la riflessione è aperta, ed è anzi necessaria, per il momento particolare che stiamo vivendo. Momento che si configura davvero come un cambiamento d’epoca, come dice anche papa Francesco: non è un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca, ci avverte, facendo propria la percezione diffusa in molti acuti osservatori, di qualsiasi fede e professione culturale. Se possibile, l’attualità di questo tema è diventata ancor più stringente, per lo scandalo relativo al caso Cambridge Analytica e all’uso “spensierato” di dati personali al fine di manipolare ed orientare le nostre scelte, non soltanto in ambito merceologico, ma anche in occasione di eventi importanti come le elezioni politiche. Questo ha esposto un vulnus, una ferita che riguarda noi tutti, perché noi tutti ci sentiamo in una certa misura invasi e offesi. Una ferita dalla quale dobbiamo e vogliamo imparare, lentamente, a guarire. Anche attraverso un nuovo e diverso rapporto proprio con Facebook, ed i social media in generale. Per entrare nel nostro tema, riprendo alcuni spunti dell’intervento di Giuseppina, al fine di sottolineare questa linea di continuità ideale. Giuseppina scrive che “Quando la scuola fallisce e i giovani si perdono perché si sentono soggetti privi di valore e talvolta diventano molto arrabbiati è perché avvertono che qualcuno ha rubato loro il cielo senza neppure guardarli.” Ed anche, più avanti “Quando i ragazzi, di periferia o di città, che arrivano da Occidente o da Oriente, famelici e audaci, belli e ribelli, insieme a noi vedono e seguono una stella, si apre un nuovo scenario dello stupendo incontro tra la mente e il cuore mostrandoci “il Bambino” che vive in noi”. L’intervento di Giuseppina chiude significativamente con la percezione che “un uso sapiente di Facebook può contribuire a favorire e a diffondere la cultura del dialogo, a cercare insieme parole poetiche per pregustare cieli nuovi e terra nuova ed arrivare a sperimentare come possibile risonanza, l’armonia del canto celeste.” Ecco, proprio questo canto celeste ci conduce direttamente al nostro tema. E qui siamo subito ad un punto importante. Una percezione risanante del cielo non può avvenire senza una collaborazione della percezione scientifica del cosmo, e a sua volta questa non può accadere – ormai davvero non può – senza una corretta articolazione dell’informazione scientifica nel mondo dei social media. Ci dobbiamo infatti rendere conto che i social media hanno raggiunto una pervasività enorme (secondo le ultime statistiche, Facebook vanta quasi un miliardo e mezzo di utenti che si collegano quotidianamente) e rappresentano ormai assai spesso una della principali fonti di informazione – in ogni settore e in ogni campo. Ecco il problema e la portata del caso Cambridge Analytica, che altrimenti non avrebbe di certo questa pregnanza. Ma sono due sono i passaggi cruciali, nel nostro percorso di oggi. Il primo è che abbiamo bisogno di una nuova nozione di cielo, e questa deve venire da un modo rinnovato di intendere la scienza (ed in particolare la scienza delle stelle e del cosmo, che è quella di cui mi occupo per professione). L’altra è che tale nuova nozione non può arrivare se non si coinvolge in un diverso e più maturo uso dei social network, di cui Facebook – per quanto in crisi – è al momento presente il simbolo per eccellenza. Perché dico una nuova nozione di cielo? Sarebbe illusorio pensare di poter evitare questo lavoro di ridefinizione che attende qualsiasi cosa, qualsiasi ambito. Nei momenti di crisi le cose devono prendere un nome nuovo, devono rinnovarsi, proprio per continuare ad agire nella storia secondo il loro esatto compito. Per dirla in modo paradossale: devono cambiare, per rimanere fedeli a loro stesse. In questi giorni, appena trascorsa la Pasqua, sentiamo tutti forte una esigenza di rinnovamento, la necessità di dare un nome nuovo alle cose, quel nome nuovo che riporti all’emozione primaria, primigenia, al “primo amore”. Come dice il Papa nella messa della notte di Pasqua, “La pietra del sepolcro ha fatto la sua parte, le donne hanno fatto la loro parte, adesso l’invito viene rivolto ancora una volta a voi e a me: invito a rompere le abitudini ripetitive, a rinnovare la nostra vita, le nostre scelte e la nostra esistenza.” Peraltro, è la stessa scienza a chiederci questa ondata di rinnovamento. La stessa percezione del cosmo non è una invariante, nel tempo. Chiede a noi continuamente di mutare atteggiamento, prima di tutto. E non è una cosa da poco, né cosa per pochi. Basterebbe, al proposito, ripensare ai giorni appena trascorsi, all’eco che ha suscitato nei media la morte di Stephen Hawking, il celebre teorico dei buchi neri, appassionato indagatore dei misteri dell’universo. Hawking, con la sua sfida alla malattia invalidante che lo affliggeva, ha infiammato il mondo nell’ardore della sua ricerca. Così che qualcosa di molto specialistico è diventato, sorprendentemente, patrimonio comune, un bene condiviso, da tutelare. Questo cosa ci dice? Che la gente ha fame di scienziati veri, cerca una visione scientifica del cosmo in cui collocarsi e dalla quale guardare tutto. Del resto, l’uomo ha sempre avuto una visione condivisa del cosmo, in cui adagiarsi, in cui prendere fiato. Solo nei tempi più recenti si è creata questa frattura, questa anomalia per cui all’uomo – come diceva Giuseppina – è stato rubato il cielo. All’uomo, e non solo ai ragazzi! Ecco dunque il primo passo di questo movimento primaverile di espansione, di ripresa. C’è una mancanza, un vuoto che occorre ripristinare, una ferita che occorre sanare. Abbiamo sempre avuto un modello di cielo, dicevamo, fin dall’inizio della storia. Poco importa, in questo momento, se fosse scientifico secondo i parametri moderni, o invece – come diremmo oggi - più propriamente mitologico. Dai primi modelli astronomici dei babilonesi, che vedevano il mondo come un disco piatto posato su un immenso oceano, l’uomo è sempre stato accompagnato, è stato guidato nel suo cammino nel cosmo: ogni specifica cultura elaborava una sua storia di universo, in ciò obbedendo alla funzione di rivestire di parole, di rendere raccontabile - e dunque percorribile - l’infinità del cosmo entro cui siamo immersi. Percorribile, perché portatore di significato, costellato di miti e simboli. Soltanto l’età moderna, con lo squilibrio portato a vantaggio della parte più razionale, raziocinante dell’uomo, ha spinto ed incoraggiato una visione di universo sempre più elaborata e “tecnica”, brutalmente scollegata dall’uomo stesso, asetticamente distaccata dalle emozioni, dalle percezioni e dall’esistenza medesima di chi si pone innegabilmente come punto privilegiato del cosmo, punto cardine: quello in cui il cosmo finalmente osserva sé stesso. Tale è l’uomo. L’uomo. Ecco il grande escluso dalle moderne teorie cosmologiche. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo - un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, anche nei social. E soprattutto, portatore di senso. La partita è fondamentale: un cosmo non raccontabile è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nel cosmo: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume “Il Tao della Liberazione”, “abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo” In breve, la cosmologia moderna ha questo grande compito, riportarci verso un cosmo a misura d’uomo, ovvero un cosmo incantato. Scrivono infatti gli stessi autori, che “l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto.” In questo modo il nuovo cosmo non potrà che riflettere la nuova scienza, quella che riporta l’essere umano non solo al centro del processo cognitivo, ma al centro stesso dell’universo che vuole indagare. Questa rivoluzione non avviene oggi “per caso”, ma è stata preparata da una profondissima crisi all’interno della stessa scienza più rigorosa, crisi che ha visto lo scardinamento e il tracollo della visione meccanicistica cartesiana sospinta dall’avanzare delle visioni - potentemente dirompenti - della fisica relativistica e della meccanica quantistica. Non è questa la sede per indagare la portata di tali eventi davvero rivoluzionari, dobbiamo appena comprendere il loro di stimolo potente verso le istanze di un ricominciamento totale, anche nella scienza. Questo ricominciamento, questo reincantamento, possiede in sé l’urgente necessità di comunicarsi a tutti gli uomini, perché tutti noi siamo comunque vittime di questo “furto del cielo”. E’ un risarcimento che si vuol proporre, in altre parole. Urgentissimo, perché già tardivo. Una impresa di questa natura – ed ecco il passaggio cruciale - non è ormai nemmeno pensabile, senza il coinvolgimento attivo dei social media. Riepilogando: c’è dunque un messaggio, il nuovo cosmo “a misura d’uomo”, e c’è la necessità urgente di rilanciarlo attraverso i canali privilegiati della connessione informatica, così pervasiva ad ogni livello di istruzione e in ogni ambiente. Anzi, potremmo addirittura ribaltare la questione, sostenendo che questa facilità immensa di comunicazione è nata esattamente nell’attesa, nell’imminenza di un messaggio “planetario” da trasmettere. Così comprendiamo perché, con Facebook, Twitter e gli altri social media – che a loro volta si appoggiano a questa straordinaria innovazione che è Internet - siamo arrivati ad una capacità di connessione sbalorditiva, proprio nell’imminenza di questo momento di crisi. Il rischio allora è che questa capacità di contatto e condivisione, questa inedita potenza di fuoco possa rimanere senza un messaggio profondo da veicolare. Sarebbe pericolosissimo, perché l’assenza viene sempre colmata, in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo. Lo vediamo nei giorni presenti, dove diviene sempre più difficile estrarre un contenuto di valore dal rumore di fondo di ogni schermata di Facebook. Il valore, ovvero tutto quel che invita a riflettere e ad approfondire, rispetto alle innumerevoli “chiamate” alla reazione immediata e superficiale. Tutto questo presenta conseguenze dirette nell’educazione, quel processo delicatissimo che deve anch’esso tornare ad un incanto primordiale, ad un ambiente protetto e non giudicante dove la creatività dei ragazzi è esaltata, come ci ha ben mostrato l’intervento di Carla Ribichini sull’Educazione visionaria, al quale pure voglio collegarmi. Per usare proprio le sue parole, “tutti i linguaggi devono essere rinnovati, ma quello che riveste il carattere di maggiore urgenza è quello dell’educazione”. A noi dunque la scelta di subirlo, questo cambio di pelle, di rimanere frenati in questa urgenza del nuovo, sempre più a fatica, o di lanciarci, e scommettere su un rovesciamento di prospettiva. Alla fine, è una decisione, a cui siamo chiamati. In questa proposta interpretativa non c’è più il “caso”, ma tutto avviene per un senso, e la percezione di un modo “incantato” di guardare l’universo richiama ad un modello d’uomo che non è più vittima della tecnica, perché – in ultima analisi - non è più prigioniero del nichilismo. Un uomo che possiede un senso delle cose, è un uomo che manipola ogni oggetto, ogni tecnica, con una coscienza diversa, che porta frutto in quello che fa, anche al tempo passato sui social. Non ci serviranno dunque decaloghi e regole d’uso per recuperare una dimensione umana in Facebook, ci salverà piuttosto la percezione di un cammino fatato, di un percorso possibile verso quel “Regno” di cui parla Carla nel suo progetto educativo, dove tutto diventa anticipo e possibilità d’espressione nuova, di creatività inedita ed insperata. Dove la scienza si sposerà con un uso equilibrato e sobrio del mezzo informatico, recuperato nella sua autentica dimensione di strumento, e non di fine. In altri termini, ripreso a servizio. Infine, a chi riguardasse tutto questo come bello, ma utopico, permettetemi di rispondere con un motto del ‘68 francese, molto amato sia da scrittori laici come Albert Camus che da personalità religiose come Don Luigi Giussani: “Siate realisti, domandate l’impossibile”.

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Europa un'identità complessa

"Gli Spazi Politici : Europa un'identità complessa" , il tema di nuovi spazi di dibattito politico, in una prospettiva postmoderna che ha bisogno di reti e di virtualità ma ancora di rapporti diretti e personali. L'Europa, è una realtà complessa, fatta di molte identità culturali, molte lingue e molte etnie, sostenuta da convinzioni e religioni diverse ma anche una terra di molte possibilità in un progetto audace di unità .

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La vita è un dono - Maria Fondi

E solo quando la riceviamo ce ne approviamo per sempre. Allora inizia un’avventura meravigliosa. Soli con noi stessi possiamo costruire o distruggere quello che desideriamo. Certo gli anni dell’adolescenza magnifica, l’età dei sogni gloriosi ci offre stimoli irripetibili. Ma sé il sogno continuiamo a rincorrerlo anche da adulti si vive con un cuore che pulsa emozioni. Mai lasciarsi spegnere. Sempre, anche nei momenti più bui respirare a pieni polmoni, adagiarsi sulla propria vita per rinascere di nuovo e rivedere la luce. Mai appoggiarsi troppo agli altri. La vita è tua, viverla intimamente con te stesso, senza chiedere aiuto, potreste affondare in due. Soltanto sé chiarisci il tuo io interiore puoi donare amore a chi ami, a chi ti circonda. Rafforza il tuo carattere con disciplina, non ti arrendere ai primi ostacoli, ma esercitati quotidianamente alla pazienza, alla tolleranza, al coraggio di vivere. L’impresa è ardua e metterà a dura prova te stesso, sempre. Preferisci la solitudine per meditare e riflettere, fallo spesso almeno una volta al giorno, come fosse una medicina da prendere. Ti arriverà a visionare la tua vita, a non trascurare gli obbiettivi prefissati, a correggere il tiro dove è necessario. Coltiva il “bello” dentro di te perché come ha detto qualcuno “La bellezza salverà il mondo”. Nutri il tuo essere dell’essenza armoniosa del creato e se questo può tradursi attraverso la poesia, meglio! Sia che tu la scriva sia che tu la legga. È la poesia una lente di ingrandimento sulla vita, puoi osservare, non visto, ciò che accade dentro e fuori di te. Addirittura se scrivi poesia, hai la sensazione di uscire dal tuo corpo, di lievitare e guardare il mondo intero da un luogo privilegiato, dove conoscere vizi e virtù, bellezze e bruttezze, sorrisi e pianti, sogni e realtà. Arriva poi, il momento del commiato. Essendo un dono, la vita, non si può restituire, ma si può tornare dove tutto è iniziato, al principio. Ed è cosa naturale, lasciarsi andare, nel momento del distacco è come nuotare nell’azzurro mare, è come addormentarsi nelle braccia dell’amato, semplicemente. Così voglio immaginare la morte, triste per chi resta nel dolore, compimento di un percorso per chi lascia la vita terrena per aprirsi ad una nuova esistenza, dove voglio credere ci siano tutti gli esseri viventi che abbiamo amato, dove i dubbi, le incertezze crollino lasciando spazio ad una luce assoluta. 12 marzo 2018 Maria Fondi

L'EDUCAZIONE VISIONARIA

Di Carla Ribichini

L’educazione non è una scienza esatta, non è una professione facile, né programmabile e il progetto di Educazione visionaria nasce dalla forte volontà di voler trovare risposte e soluzioni a problemi mai del tutto risolti. E’ un progetto semplice che però vuole rompere alcuni vecchi schemi. A scuola si ha il polso esatto del tessuto sociale e il tessuto sociale è chiaramente ammalato; nei tempi difficili che stiamo vivendo ci rendiamo conto che tutti i linguaggi devono essere rinnovati, ma quello che riveste carattere di maggiore urgenza è il linguaggio dell’educazione. L’educazione, infatti, è la struttura portante della società ed esercita un grande potere sulle esistenze lasciando dietro di sé cambiamenti importanti; è l’unica grande opportunità di crescita che abbiamo, offre gli strumenti necessari per realizzare un mondo più umano e si traduce sempre come impegno per il mondo. Ogni progetto educativo è un progetto politico, nel senso più nobile del termine, perché contribuisce alla costruzione della collettività. L’educatore, ogni giorno, sperimenta un mondo dove tutto può essere possibile, coltiva pensieri di speranza e fiducia, è l’unico professionista che ancora crede nella capacità evolutiva dell’uomo, la sua visione del mondo va oltre il disordine, il pessimismo e la rassegnazione dei tempi; la sua visione si basa sulla ricchezza della natura umana e sulla bellezza del potenziale umano; suo obiettivo è quello di far crescere la persona rendendola consapevole della sua realtà totale e capace di diventare ciò che realmente è. In questo senso l’educazione è atto eroico e speranza per l’umanità intera. L’uomo contiene in sé ogni aspetto della realtà: contiene l’essenza dell’arte, della spiritualità, della scienza, della filosofia, e poiché non può esserci arte, spiritualità, scienza e filosofia separata dalla vita, l’educazione porta tutto in equilibrio, armonizza e coltiva nel modo giusto talenti, capacità e potenzialità. Senza conoscere chi siamo non c’è crescita né evoluzione e poiché l’evoluzione altro non è che evoluzione del pensiero e della coscienza, l’educazione visionaria rinnova l’idealismo interiore, risveglia le coscienze e dà voce a tutte le dimensioni dell’essere, anche a quelle apparentemente nascoste: dalla dimensione razionale-cognitiva a quella etica, estetica, spirituale, affettiva-emotiva-relazionale. Fede in sé e speranza, coraggio, determinazione, volontà e tenacia, tenerezza, passione ed entusiasmo sono alcune delle risorse di questa realtà interiore e cambiano completamente la vita. Farne esperienza e sperimentare se stessi come esseri umani globali, imparare l’autostima e l’autoefficacia, fare buon uso di pensieri e parole ed esserne responsabili, conoscere i propri talenti e attivarli, rende libero l’ uomo e un uomo libero può davvero cambiare gli eventi, raggiungere l’umana eccellenza e rappresentare una ricchezza non solo per il mondo della scuola, dall’infanzia all’università, ma per l’umanità intera. L’educazione visionaria crede in qualcosa di grande, insegna la pienezza della vita, al di là di imperfezioni e difficoltà e fa evolvere l’essere umano.
IL CORAGGIO DELL’EDUCAZIONE Se vogliamo conoscere la vita e dare una mano a riequilibrare il mondo, se vogliamo partecipare alla costruzione di un mondo migliore è necessario trovare il coraggio di ricordare chi siamo e conoscere il potere autentico dell’essere umano: capire che l’energia dei suoi pensieri, delle sue passioni e aspirazioni più profonde trascende le leggi fisiche crea implicazioni vaste e appassionanti; capire che la coscienza agisce sulla materia e la modifica spinge a trovare il coraggio di scegliere nuovi punti di vista. Non è sicuramente facile, ma bisogna scegliere, non si può più stare a guardare, prima o poi arriva il momento del risveglio e non c’è nessun’altra salvezza che rendersi conto della propria dimensione interiore. Educare a questa dimensione è sicuramente una strada lunga, ma l’unica percorribile. Abbiamo mai pensato di vedere l’evoluzione dell’uomo in questa nostra vita? Lavorare con i ragazzi, imparare a osservarli e ascoltarli con amore, oltre la loro fragilità e paura, permette di percepire con chiarezza gli elementi di una vera e propria evoluzione e rivoluzione in atto: la saggezza di un cuore profondo, la limpidezza e la forza del pensiero, il ritmo vivace delle emozioni, la ricerca di una vita integra e la volontà di creare un mondo più umano. Nei ragazzi c’è un chiaro risveglio di Spiritualità, le loro parole indicano nuovi potenziali e nuova dignità, le loro energie, se guidate, cambieranno la realtà della nostra terra e daranno un senso al caos in cui si dibatte l’umanità. A scuola sperimentiamo continuamente questa scienza interiore e ci rendiamo conto che l’umanità è pronta a scrivere nuovi capitoli della sua storia. La vita si evolve, è un processo inevitabile, niente e nessuno può bloccare l’evoluzione e tutti gli uomini sono chiamati all’ascesa; ciò che ci sta difronte è semplicemente la capacità di liberare il nostro potenziale umano e divino, sperimentare che c’è molto di più da vivere, recuperare la nostra sovranità e cambiare la sostanza stessa della nostra esistenza. Limitarci a dire che vogliamo una realtà nuova non basta, dobbiamo diventare creatori e realizzare interiormente quella realtà che desideriamo perché quando qualcosa cambia dentro i cambiamenti si realizzano anche fuori. L’Educazione visionaria si impegna nel compito di venerare la vita e si mette a sua disposizione: l’incontra, l’ accoglie, l’ ascolta, la vive e la sostiene; gli effetti di questa visione che, in modo semplice e fiducioso nasce dal cuore, sono davvero sorprendenti, sorprendono anche l’educatore più visionario. La Visione è uno stato di apertura totale e fiducia assoluta, è l’allineamento creativo di tutte le energie dell’essere umano; stare in questa visione allontana tutto ciò che non serve ( paura dubbio inquietudine)e porta in essere solo il senso e l’essenza.
L’EDUCATORE, UNA COSCIENZA CHE NUTRE L’ALTRA. “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo” dal Diario di Etty Hillesum. Al di là della nostra vita, come dice Etty, c’è il tessuto della vita e il compimento personale di ognuno concorre a un progetto più grande che va oltre l’individuo e si colloca in una visione universale. C’è qualcosa che nessuno più insegna, ma non si può dimenticare che la visione dell’educatore desta e libera la visione dell’educando e che la sua ricerca incessante di coscienza cambia la sostanza dell’intera umanità. Le parole che seguono raccontano l’infinito e la grande umanità dei ragazzi.


Soffio
Il dolce soffio del vento estivo è un tappeto magico, mi sostiene nella via della vita.
Il suo profumo di agrumi mi protegge da ogni cattivo odore.
Il suo sapore di rugiada mi riempie di gioia.
Quel soffio che ad ogni battito del mio cuore mi sfiora il viso è la mia essenza.
E’ la mia rosa dei venti, mi indica l’est e l’ovest del mio cuore e mi orienta.
Antonio

Se fossi soffio
Se fossi soffio rilasserei le anime inquiete,
Se fossi soffio addormenterei i bambini soli e stanchi,
Se fossi soffio lascerei un dubbio nel cuore degli uomini.
Federico

Cos’è la vita dell’uomo se non può più ascoltare i discorsi delle rane attorno a uno stagno di notte?
L’uomo è troppo impegnato e va di corsa, se gli parli del profumo del vento ti risponde che devi crescere, non sei più un bambino.
Come sarebbe triste e noiosa la vita senza poter origliare i pettegolezzi delle rane attorno a uno stagno!
Senza poter sentire la dolce melodia del vento sulla superficie del lago, mille violini incantati!
Il profumo del vento è un misto di odori di tutto il mondo, sembra volermi raccontare tutti i suoi viaggi.
Percepisco le spezie di un mercato orientale e le brezze fredde del nord.
Mi chiedo: “Perché gli uomini non riescono a vedere al di là della ricchezza e del potere?
Perché non si accorgono della bellezza della natura e vorrebbero solo comprarla?”
Vittoria

La sera La sera stanca si accascia su di sé,
si lamenta e con tono autorevole cala.
La sera diventa aria tra le mie mani
e insieme alle stelle popola il mondo.
Matteo

Tutti noi abbiamo una doppia cittadinanza, il nuovo mondo si va facendo con le nostre esistenze, con i nostri sogni e la nostra consapevolezza. Ognuno di noi con il suo appezzamento di terra interiore lavora per creare la terra che verrà e un giorno sarà una terra unica. Ognuno di noi è diviso in due parti, una parte vive nella madrepatria, l’altra nel mondo. Avere una doppia cittadinanza significa avere una lunga catena che lega ognuno di noi all’altro, ad ogni continente, ad ogni mare e oceano. Lo vedo l’uomo della nuova terra, è alto e bello, ha le caratteristiche dei vari popoli, è uguale agli altri, ma anche così diverso. Ha la pelle color latte, gli occhi a mandorla, i capelli scuri come il cioccolato fondente ed è pieno di anima. Nel nuovo mondo, ogni pensiero è un seme piantato nella terra e germoglierà. La speranza crescerà fino a raggiungere il cielo. Siamo cittadini di un’unica terra e siamo tutti pieni della nostra umana magia. Agnese

“E’ verso la verità che corriamo la mia penna ed io” Italo Calvino
A tutta velocità corriamo la mia compagna d’avventura ed io.
Arriverò in riva al mare e se la vita mi affida alla rabbia di una tempesta, la asseconderò e forse troverò un’imprevista sorpresa.
La verità si china per aiutare gli sconfitti, si sacrifica, e vuole essere ascoltata. Ed è li che corro veloce, come un cavallo imbizzarrito
Matteo

E sulle case il cielo
Il cielo copre i tetti e protegge le case.
Mi piace il cielo, è chiaro e lucente, mi perdo e sogno.
Mi piace il suo sapore, è croccante.
Mi piace il suo profumo, è di thè aromatico.
Mi piace il cielo, è semplice.
Vittoria

Nella poesia di questi ragazzi non c’è retorica, è una poesia visionaria attraverso la quale cercano quella vita in cui credono e che a loro manca.

I bambini dagli occhi di sole
Li ho visti i bambini dagli occhi solitari.
Portatori di una meravigliosa aurora.
Ho sentito l’eco dei loro passi nei corridoi del tempo.
Li ho visti
Camminano fra noi Sacerdoti della saggezza e della dolcezza.
Sono qui per mutare la sofferenza in gioia
Per cantare uno sconosciuto inno dell’anima
Aurobindo

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Spazi alimentari - Ass.ne AUGE

Primo appuntamento filosofico dei quindici minuti 2018, venerdì 26 gennaio ore 17.00 Fondo Ferroni in collaborazione con l'Associazione AUGE. Argomento trattato SPAZI ALIMENTARI: il tema ecosostenibile dell'alimentazione specie nel nodo complesso di produttività, ambiente e distribuzione delle risorse alimentari. Partecipanti all'incontro giovani universitari italiani dell'associazione AUGE e Arnaldo Colasanti. AUDIO

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Gli spazi migratori - Ass.ne AUGE

Test del sottotitolo

Secondo appuntamento dei Quindici Minuti Filosofici organizzato da Frascati Poesia con la partecipazione degli studenti di varie Università Italiane dell'Associazione AUGE. : "GLI SPAZI MIGRATORI", il tema preponderante della quotidianità migratoria di individui, comunità e popoli che rischiano la sparizione e, insieme, il nostro rifiuto all'accesso. L'incontro si è svolto VENERDI' 16 FEBBRAIO ORE 17,30, Fondo Librario G. Ferroni. AUDIO

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"La fisica delle parole"

La Fisica delle parole : libere riflessioni sull’energia trasmessa con le parole e sulle dinamiche della comunicazione (By Angelo Chiolle)

“Figlio mio, stai sempre attento a quello che dici, perché le parole sono pietre”. Questa era la raccomandazione espressa da una madre ad un ragazzino di otto anni che le pietre spesso le tirava, scegliendole accuratamente fra quelle più leggere in grado di andare lontano con un tiro deciso e quelle pesanti che non andavano mai oltre il raggio visivo. Una cosa avevano in comune : se colpivano persone, cose od animali, facevano sempre gran danno . Quella donna era mia madre : lei sapeva che a me piaceva tirare i sassi più lontano che potevo, colpendo con maestria un bersaglio improbabile e si preoccupava per questo molto seriamente. Il pericolo potenziale che costituivo se lasciato troppo libero era notevole, sia nell’uso delle pietre che delle parole perché anche di queste mi dimostrav, fin da piccolo, generoso lanciatore! Per la verità, alcune parole che mi venivano indirizzate dai coetanei generavano in me un profondo fastidio tanto da indurmi a restituirne prontamente altre, non da meno ed arricchite con tanto d’interesse; altre, invece, erano per me come carezze, in particolare quando apprezzavano le mie rare qualità. Per questo, da grande, alcuni approfondimenti scientifici sull’energia e la materia, mi sono stati utili per indagare le parole, come queste avessero il potere d’ infiammare o gelare l’animo di una persona . Probabilmente erano in grado di trasmettere energia forse per induzione, ma la fisica certificava che le parole, a cavallo di onde di pressione viaggianti alla velocità di 331,45 m/s , giungevano ad un orecchio distante che le acquisiva per consegnarle, elaborate, ad un sistema di lettura celebrale diverso da persona a persona. Mi chiedevo anche se le parole fossero dotate di una propria massa/energia, ancorché infinitesimale, per il fatto di generare, in base alla loro intensità di volume ed alla qualità percepita in chi le riceve, dolore, indifferenza o piacere .Propendevo, comunque, per le proprietà magnetiche quelle, in particolare, che hanno a che fare con l’attrazione, la repulsione e la neutralità. Era pur vero, nella mia esperienza, che alcune parole si comportavano come proiettili in grado, per la loro energia, di ferire mortalmente lo stato d'animo, come se le parole potessero rappresentare una massa virtuale rispondendo alla legge di Albert Einstein della relatività ristretta E=MxC” . Al di la di queste riflessioni, occorreva trovare un modo semplice, ove possibile, per classificare e misurare l’ energia trasmessa dalle parole, ma come? Un modo classico poteva essere quello di analizzarne lo spettro. Presa ad esempio la parola “Amore” mi accingevo a considerare dieci possibili modi di esprimerla . Ma quali erano le motivazioni che mi spingevano a scegliere queste dieci modalità espressive? Avevo analizzato a lungo molte parole : nell’estesa area del fastidio rientravano, secondo me, la collera, la tristezza, la paura, la vergogna ed il disgusto; nella ristretta zona del piacere , la sorpresa, la gioia e l’ amore. Questo, solo come semplice classificazione, perché poi, a seconda della specifica parola o del contesto nella quale la parola si manifestava, la stessa era in grado di produrre effetti , in termini d’intensità e di durata, estremamente diversi: alcune di esse, nella mia esperienza, potevano rientrate addirittura nel mito, come alcune parole di un amico, di un contadino filosofo , di uno statista prima che una pallottola lo azzittisse, di un poeta, di un capo, di un amore, di mia madre, di un prete, ecc. E poi, come considerare il silenzio, in particolare quel silenzio che spesso era in grado di dire molto più delle parole: così come nella musica, sorella carnale delle parole, la pausa marca la fine e l’inizio di una melodia dando corpo all’intera composizione, così il silenzio umano può effettivamente incarnare messaggi ed emozioni infiniti in qualità ed intensità. Mi chiedevo, in definitiva, se esistesse un modo scientifico per classificare, le parole, se era corretto ad esempio farlo distinguendole per: - la loro estensione : il tempo associato alla loro emissione - la loro intensità: l’ampiezza , la qualità e la varianza del tono vocale - la tipologia del sentimento trasmesso a : messaggio genitoriale, da adulto, da bambino, con i loro diversi intrecci, tra emittente e ricevente (Analisi transazionale di Carlo Moiso). Cosa accadeva quando due soggetti comunicavano da due stati emotivi differenti, per esempio da un insegnante che intende esercitare il suo ruolo istituzionale ed un adolescente timoroso, oppure tra lo stesso insegnante in vena di aiuto ed uno studente ribelle ed infine quest’ultimo a confronto con un Preside minaccioso ? E quanti altri casi possibili? Rispetto a quest’ultima riflessione, era necessario prendere atto che nella vita corrente si generano centinaia di emozioni con tutte le loro mescolanze, variazioni, mutazioni e sfumature. Alla fine occorreva prendere atto che le parole di cui l’uomo dispone non sono insufficienti a significare ogni sottile variazione emotiva. Non solo, ma la loro stessa modulazione, può trasportare messaggi ed emozioni estremamente differenti, come il caso analizzato della parola Amore. Mi chiedevo, come esprimere compiutamente con una parola emozioni miste come la gelosia, una variante della collera che si mescola anche alla tristezza ed alla paura. E una parola poteva definire le virtù, quali la speranza e la fede, il coraggio, il perdono, la certezza e l’equanimità? O alcuni dei vizi più classici, sentimenti quali il dubbio, il compiacimento, la pigrizia o il torpore e la noia? Riscontravo,infine, che le parole vocali, il linguaggio del corpo ed i silenzi sono mezzi quasi sempre inadeguati per un trasporto compiuto di informazioni e sentimenti. Dalla mia analisi di quel tempo le parole vocali si comportavano come vettori, potendo assumere una direzione, una intensità ed un verso: per esempio quelle dirette verso lo stesso produttore (una riflessione silente, la ripetizione di un testo) o ad un soggetto ricevente. Ma la vera domanda era: chi era il vero autore delle parole, il corpo o l’anima ( per chi pensa che esista)? Entrambi potevano farlo ed in piena autonomia. Il corpo poteva parlare liberamente in occasione di un trauma improvviso, ad esempio, per uno spavento, per un attacco d’ira, per una improvvisa vergogna, per disgusto, ecc. La vera fabbrica delle parole, secondo me, era l’anima che incarica di volta in volta il corpo con precise specifiche di conferire ad ogni parola la qualità, l’intensità ed un tono coerente in grado di rappresentare con sentimento un contenuto . Qui la mia riflessione non andava oltre perché il passo successivo era lo studio improbabile della fisica dell’anima, questione troppo grande per me. Questa breve e noiosa riflessione non ha certo la pretesa di risolvere alcunché. Di seguito riporto, per chi volesse approfondire le proprie conoscenze sul vastissimo mondo dei sentimenti che producono parole e silenzi, un riferimento bibliografico che considero particolarmente utile, in particolare per quegli scrittori maestri del mestiere delle parole, nell'intento di fornire loro un'ulteriore strumento di riflessione: le parole lette, a mio avviso, hanno la voce dell'anima del lettore modulata da un sentire che ha radici profonde nel vissuto e che raramente si avvicina a quello autentico dello scrittore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Per comprendere a fondo lo spirito che genera le parole, mi sono letto un testo che consiglio a tutti, in special modo a scrittori, poeti ed attori, se questi intendano realmente comunicare agli altri, oltre che a se stessi : “Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman . Di seguito riporto un abstract di alcuni passaggi da me composto Per prima cosa occorre ricorrere ad una sintesi che aiuti ad individuare alcune emozioni fondamentali : paura, collera, tristezza e gioia, sono riconosciute in ogni cultura del mondo, compresi i popoli analfabeti che, presumibilmente, non sono influenzati dal cinema o dalla televisione. Ciò suggerisce l’universalità di queste emozioni. Paul Ekman, insigne studioso della materia, ha mostrato fotografie che ritraevano con precisione tecnica volti esprimenti le quattro emozioni fondamentali a persone di culture lontanissime dalla nostra ed ha constatato che la gente riconosceva le stesse emozioni fondamentali. Questa considerazione è importante, perché accade che un osservatore sceglie inconsapevolmente una non parola del proprio vocabolario emotivo che invia al proprio livello cognitivo per trasportare l’informazione e l’emozione decodificate . Nella realtà “le espressioni facciali possibili” sono molte più di quattro e questa realtà può generare infiniti errori di decodificazione, tanto più se mancano le parole associate, nella loro tonalità, nella durata e nell’ intensità. Solo in anni recenti è emerso un modello scientifico della mente emozionale che spiega come le nostre azioni siano in gran parte determinate dalle emozioni -- come si possa essere ragionevoli in un certo momento e irrazionali subito dopo -- e in che senso le emozioni hanno le loro ragioni e la loro logica. La mente emozionale è assai più rapida di quella razionale, perché passa all'azione senza neppure fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi. La sua rapidità le preclude la riflessione deliberata e analitica che caratterizza la mente pensante. Nel processo evolutivo questa rapidità è connessa, molto probabilmente, alla decisione più essenziale, ossia a che cosa bisogna fare attenzione e, una volta vigili (ad esempio di fronte a un altro animale) a prendere in una frazione di secondo decisioni del tipo: fra noi due chi è la preda, io o lui? Gli organismi che dovevano soffermarsi troppo a lungo per riflettere sulle risposte a simili domande avevano minori probabilità di generare una prole numerosa alla quale trasmettere i geni che determinavano la loro lentezza nell'agire. Le azioni che scaturiscono dalla mente emozionale sono accompagnate da una sensazione di sicurezza particolarmente forte, derivante da un modo di vedere le cose semplificato e immediato, che può apparire assolutamente sconcertante alla mente razionale. A cose fatte o anche in mezzo all'azione ci sorprendiamo a pensare: Perché ho fatto questo? E’ un segno che la mente razionale si sta svegliando, ma senza la prontezza di quella emozionale. Poiché l'intervallo tra il fattore che scatena un’emozione e l'erompere dell'emozione stessa può essere quasi istantaneo, il meccanismo che valuta la percezione di tale fattore dev'essere velocissimo, anche secondo il tempo di reazione cerebrale che si calcola in millesimi di secondo. Questa valutazione della necessità di agire dev'essere automatica, così rapida che non varca neppure la soglia della consapevolezza. Tale risposta emozionale rapida, si propaga in noi prima che sappiamo che cosa sta succedendo. Questa modalità percettiva rapida sacrifica l'accuratezza a vantaggio della velocità, basandosi sulle prime impressioni, reagendo al quadro complessivo o ai suoi aspetti più vistosi. Essa vede le cose nella loro totalità simultanea e reagisce senza prendere tempo per un’'analisi riflessiva. L'impressione, determinata da elementi di particolare vivezza, sovrasta ogni attenta valutazione dei dettagli. Il grande vantaggio è che la mente emozionale può leggere una realtà emotiva (lui è adirato con me; lei sta mentendo; questo fatto lo sta rattristando) in un istante, producendo quel giudizio intuitivo immediato che ci dice di chi dobbiamo diffidare, di chi possiamo fidarci e chi si trova in una situazione difficile. La mente emozionale è il nostro radar per scoprire il pericolo; se noi (o i nostri antenati nel corso dell'evoluzione) aspettassimo l'intervento della mente razionale per formula re alcuni di questi giudizi, potremmo non solo sbagliarci, ma addirittura morire. Lo svantaggio è che queste impressioni e questi giudizi intuitivi, veri6candosi in una frazione di secondo, possono essere erronei o malaccorti. Questa rapidità, per la quale le emozioni possono coglierci prima ancora che noi si sia consapevoli del loro insorgere, è essenziale per il loro elevato valore adattativo: esse ci mettono in movimento per reagire a fatti incalzanti, senza perdere tempo a pensare se o come rispondere. Impiegando il sistema elaborato per decifrare le emozioni dai sottili mutamenti dell'espressione del viso, è possibile rintracciare microemozioni che affiorano sul volto in un tempo brevissimo, per meno di mezzo secondo. Ekman e i suoi collaboratori hanno scoperto che le espressioni emozionali cominciano a manifestarsi con mutamenti della muscolatura facciale in pochi millesimi di secondo dopo il fatto che scatena la reazione e che i mutamenti fisiologici tipici di una certa emozione -- come la deviazione del flusso sanguigno e l'accelerazione del battito cardiaco -- iniziano anch'essi dopo poche frazioni di secondo. Questa celerità vale soprattutto per emozioni intense, come la paura di una minaccia improvvisa. Ekman sostiene che, in senso tecnico, l'esplodere di un'emozione è brevissimo e che dura appena qualche secondo e non minuti, ore o giorni. Secondo lui sarebbe contrario all'adattamento evolutivo se un'emozione tenesse cervello e corpo in scacco per un tempo lungo, a prescindere dal mutare delle circostanze. Se le emozioni 'prodotte da un singolo fatto continuassero a dominarci inalterate dopo che l'evento è terminato, a prescindere da ciò che di nuovo sta accadendo intorno a noi, allora i nostri sentimenti sarebbero guide assai scadenti per l'azione. Perché le emozioni si protraggano a lungo, il fattore scatenante deve perdurare, suscitando così continuamente l'emozione, come quando la perdita di una persona cara continua a farci piangere Quando i sentimenti durano per ore, in genere si tratta di stati d'animo -- una forma più attenuata. Essi stabiliscono un tono affettivo, ma non permeano la percezione e l'azione con la stessa forza con cui irrompe un'emozione vibrante. Prima i sentimenti, poi i pensieri poiché la mente razionale ha bisogno di più tempo rispetto alla mente emozionale per registrare le impressioni e per reagire, il «primo impulso» in una situazione emozionale è dettato dal cuore e non dal cervello. C'è anche un secondo tipo di reazione emozionale, più lenti? della risposta lampo, che cova e fermenta nei nostri pensieri prima di portare a un sentimento. Questa seconda via è più deliberata e in genere siamo consapevoli dei pensieri che ci guidano verso di essa. In questo tipo di reazione emotiva, la valutazione è più ampia; i nostri pensieri -- l'elemento cognitivo -- giocano un ruolo chiave nel determinare quali emozioni verranno suscitate. Una volta formulata una valutazione..- «questo tassista mi sta imbrogliando» o «questo bimbo è adorabile» : segue un'appropriata risposta emozionale. In questa sequenza più lenta, un pensiero più articolato precede il sentimento. Emozioni più complesse, come l'imbarazzo o l'apprensione per un esame imminente, seguono una strada più lenta, impiegando secondi o minuti prima di svilupparsi: sono queste le emozioni che derivano dai pensieri. All'opposto, nella sequenza di reazione rapida il sentimento sembra precedere o essere simultaneo al pensiero. Questa reazione emozionale istantanea si verifica in situazioni urgenti nelle quali è in gioco la nostra sopravvivenza. La potenza di tali decisioni rapide è che ci mobilitano in un istante per fronteggiare un'emergenza. Ì nostri sentimenti più intensi sono reazioni involontarie; non possiamo decidere quando insorgeranno. «L'amore,» ha scritto Stendhal «è come una febbre che va e viene indipendentemente dada volontà.» Non solo l'amore, ma anche la collera e la paura si impadroniscono di noi, sembrano accadere e non già essere scelte da noi. Per questa ragione possono offrire un alibi :«Il fatto che non passiamo scegliere le emozioni che abbiamo», consente alla gente di giustificare le proprie azioni dicendo che le hanno fatte mentre erano in preda a un'emozione." Così come esistono vie rapide o lente per l'insorgere di un'emozione -- una attraverso la percezione immediata e l'altra attraverso il pensiero riflessivo , esistono anche emozioni che vengono provocate volutamente. Un esempio è dato dalla manipolazione intenzionale dei sentimenti che costituisce il bagaglio professionale di qualunque attore, come le lacrime che affiorano quando intenzionalmente ci si sofferma su ricordi tristi per suscitarle. Gli attori sono semplicemente più abili del resto dell'umanità nel saper usare intenzionalmente la seconda via alle emozioni, ossia la produzione del sentimento attraverso il pensiero. Anche se non possiamo cambiare facilmente l'emozione specifica che verrà provocata da un certo tipo di pensiero, molto spesso possiamo scegliere, e scegliamo, che cosa pensare. Come una fantasia sessuale può portare a sensazioni di eccitazione sessuale, così i bei ricordi ci rallegrano o i pensieri malinconici ci rendono pensosi. Ma in genere la mente razionale non decide che emozioni «dovremmo» avere. AI contrario, i sentimenti si presentano come un fatto compiuto. Ciò che di solito la mente razionale può controllare è il corso di quelle reazioni. A parte qualche eccezione, non siamo noi a decidere quando essere furiosi, tristi e così via. Una realtà simbolica e infantile la logica della mente emozionale è associativa; per essa, elementi che simboleggiano una realtà o ne suscitano il ricordo equivalgono a quella stessa realtà. Per questo le similitudini, le metafore e le immagini si rivolgono direttamente alla mente emozionale, come fanno l'arte, i romanzi, i film, la poesia, il canto, il teatro, l'opera. Grandi maestri spirituali come Buddha e Gesù hanno toccato il cuore dei discepoli parlando il linguaggio dell'emozione, insegnando con le parabole, le favole e i racconti. Infatti il simbolo e il rituale religioso non hanno molto senso dal punto di vista razionale; essi si esprimono nell'idioma del cuore. Questa logica del cuore -- della mente emozionale -- è ben descritta da Freud col concetto di «processo primario» del pensiero; è la logica della religione e della poesia, della psicosi dei bambini, del sogno e del mito (come afferma Joseph Clampbell : «l sogni sono miti privati; i miti sono sogni condivisi»). Il processo primario è la chiave per decifrare il significato di opere come l'Ulisse di James Joyce: nel processo primario del pensiero, associazioni libere determinano il flusso narrativo; un oggetto ne simboleggia un altro; un sentimento ne soppianta un altro e sta al suo posto; le totalità vengono condensate nelle parti. Non ci sono né il tempo né la legge di causa-eretto. Anzi, nel processo primario non c'è negazione. Tutto è possibile. Il metodo psicoanalitico è in parte l'arte di decifrare e dipanare queste sostituzioni di significato. Se la mente emozionale segue questa logica e le sue regole, nella quale un elemento sta al posto di un altro, per essa non è necessario che le cose vengano definite dalla loro identità oggettiva: ciò che conta è come vengono Percepite ; le cose sono ciò che appaiono. Quel che una cosa ci fa ricordare può essere molto più importante di quel che essa «è». Nella vita emozionale le identità possono essere come un ologramma, nel senso che una singola parte evoca l'intero, mentre la mente razionale istituisce connessioni logiche fra causa ed effetto, la mente emozionale è indiscriminata e collega le cose semplicemente in base ad aspetti superficialmente simili. La mente emozionale è infantile in molti modi e lo è tanto più, quanto più forte cresce l'emozione. Una delle sue modalità è il pensiero categorico, che vede tutto o bianco o nero, senza sfumature di grigio; una persona mortificata dopo aver compiuto una gaffe potrebbe pensare all'istante: «Non dico mai una cosa per il verso giusto». Un altro segno di questo modo infantile è il pensiero personalizzato che percepisce gli eventi in maniera deformata, riconducendoli tutti al proprio io; se pensi ad esempio, all'automobilista che dopo un incidente lo spiegava dicendo «il palo del telefono mi è venuto addosso». Questo modo infantile è autoconvalidante, perché sopprime o ignora ricordi o fatti che ne scardinerebbero le convinzioni e si aggrappa a quelli che lo confermano. Le convinzioni della mente razionale sono sperimentali; una nuova prova può smentire una convinzione, sostituendola con un'altra. La mente razionale ragiona in base alle prove oggettive. La mente emozionale, invece, considera le proprie convinzioni assolutamente vere e perciò sottovaluta ogni prova contraria. Per questo è così difficile ragionare con chi è emotivamente turbato: quale che sia la saldezza del vostro argomento da un punto di vista logico, non ha rilevanza se si scontra con la convinzione emozionale del momento. l sentimenti si autogiustificano con un insieme di percezioni e di «prove» tutte loro. Il passato imposto sul presente quando un qualche aspetto di un fatto appare simile a un ricordo del passato dotato di forte carica emotiva, la mente emozionale reagisce provocando i sentimenti che si accompagnavano all'evento ricordato. La mente emozionale reagisce al presente come se fosse il passato. Il guaio è che, specialmente quando la valutazione è rapida e automatica, può accadere che non ci si renda conto che le cose sono cambiate rispetto alla situazione passata. Qualcuno che ha imparato dalle percosse dolorosamente subite durante l'infanzia a reagire a uno sguardo adirato con grande paura e disgusto, manterrà in certa misura quella reazione pure da adulto, anche quando uno sguardo cattivo non comporterà la stessa minaccia. Se i sentimenti sono forti, allora la reazione che viene provocata è ovvia. Ma se i sentimenti sono vaghi o sottili, può accadere che non ci si renda conto della reazione emotiva in corso, anche se essa colora sottilmente il nostro modo di reagire in quel momento. Pensieri e reazioni al momento presente assumeranno il tono dei pensieri e delle reazioni del passato, anche se può sembrare che la reazione sia dovuta soltanto alla circostanza momentanea. La nostra mente emozionale imbriglierà la mente razionale piegandola ai propri fini e per questo noi presentiamo spiegazioni dei nostri sentimenti e delle nostre reazioni -- le cosiddette razionalizzazioni -- che le giustificano nei termini del momento presente, senza comprendere l'influenza della memoria emozionale. In questo senso, non possiamo avere idea di ciò che sta davvero accadendo, anche se possiamo nutrire la convinzione certa che sappiamo esattamente cosa sta succedendo. In momenti simili la mente emozionale ha ingabbiato quella razionale, ponendola al suo servizio. Realtà legata a uno stato specifico il funzionamento della mente emozionale è in larga misura legato a uno stato specifico, dettato dal particolare sentimento che si afferma in un certo momento. Il modo in cui pensiamo e agiamo quando ci sentiamo romantici è del tutto differente da quello che adottiamo quando siamo in collera o abbattuti; nella meccanica delle emozioni, ogni sentimento ha il suo distinto repertorio di pensiero, di reazioni e perfino dì ricordi. Questi repertori legati a uno stato specifico diventano predominanti in momenti di intensa emozione. Un segnale che un tale repertorio è attivo è la memoria selettiva. Parte della reazione della mente a una situazione emozionale è un riordinamento della memoria e delle opzioni per l'azione, in maniera che le più pertinenti si trovino in posizione gerarchicamente più alta e così siano più facilmente messe in pratica. E, come abbiamo visto, ogni importante emozione ha il suo contrassegno biologico: un insieme di mutamenti radicali che tengono in scacco l'organismo mentre l'emozione sale -- una serie di segnali automatici caratteristici esibiti quando si è nella morsa dell'emozione. L'amigdala ha una funzione centrale per la paura. Quando una rara malattia cerebrale distrusse l'amigdala di S.M. (senza però danneggiare le altre strutture cerebrali), la paura scomparve dal suo repertorio mentale. La donna diventò incapace di identificare le espressioni di paura sul volto degli altri e di esprimere paura personalmente. Come afferma il suo neurologo, «se qualcuno puntasse una pistola alla tempia di S.M., lei sarebbe conscia intellettualmente di aver paura, ma non si sentirebbe impaurita come lo saremmo io, lei e chiunque altro » . l neuroscienziati hanno esplorato i circuiti della paura nelle loro più sottili diramazioni, benché allo stato attuale delle ricerche non siano stati studiati con completezza i circuiti di alcuna emozione. La paura è un caso che si presta assai bene per comprendere la dinamica neurale delle emozioni. Nel processo evolutivo la paura riveste un'importanza particolare, perché più di ogni altra emozione ha rilievo per la sopravvivenza. Ovviamente nei tempi odierni le paure ingiustificate sono la rovina della vita quotidiana e ci procurano sofferenze dovute a una grande varietà di preoccupazioni, all'angoscia e, in casi patologici, agli attacchi di panico, alle fobie o al disturbo ossessivo compulsivo. Immaginate di essere soli a casa di notte e di stare leggendo un libro, quando all'improvviso sentite un rumore in un'altra stanza. Ciò che accade nel vostro cervello nei momenti successivi ci fa capire come funzionano i circuiti neurali della paura e quale sia il ruolo dell'amigdala come sistema di allarme. Il primo circuito cerebrale coinvolto si limita a ricevere il suono nella sua natura fisica ondulatoria e lo trasforma nel linguaggio del cervello per mettervi in allarme. Questo circuito va dall'orecchio al tronco encefalico e poi al talamo. Di lì si dipartono due vie nervose: una diramazione più piccola conduce all'amigdala e al vicino ippocampo; l'altra, più grande, porta alla corteccia uditiva nel lobo temporale, dove i suoni vengono classificati e compresi. L'ippocampo, un magazzino fondamentale per la memoria, rapidamente raffronta quel «rumore» ad altri suoni simili già uditi in passato, per capire se è un suono conosciuto: è un rumore che voi immediatamente riconoscete? Nel frattempo la, corteccia uditiva sta svolgendo un'analisi più sofisticata del suono per cercare di comprenderne la fonte: forse i] gatto? Una persiana che il vento manda a sbattere contro la finestra? Un ladro? La corteccia uditiva formula un messaggio -- potrebbe essere il gatto che ha fatto cadere una lampada dal tavolo, ma potrebbe anche essere un ladro -- e lo invia all'amigdala e all'ippocampo, che rapidamente lo paragonano a ricordi simili. Se la conclusione è rassicurante (è soltanto la persiana che sbatte a ogni raffica di vento), allora l'allarme generale non si innalza a un livello più alto. Ma se siete ancora incerti, un altro circuito fra l'amigdala, l'ippocampo e la corteccia prefrontale, accresce ulteriormente l'incertezza e fissa la vostra attenzione, inducendovi a cercare di identificare la fonte del suono con sempre maggior preoccupazione. Se da questa ulteriore analisi non si ricava una risposta soddisfacente, l'amigdala fa scattare un allarme e la sua area centrale attiva l'ipotalamo, il tronco encefalico e il sistema neurovegetativo. La meravigliosa architettura dell'amigdala come sistema d'allarme centralizzato del cervello si rende evidente in questo momento di apprensione e di ansia subliminale. Nell'amigdala ogni fascio di neuroni ha diramazioni particolari con recettori predisposti per differenti neurotrasmettitori, qualcosa di simile a quei sistemi di allarme nei quali le singole abitazioni sono collegate con operatori pronti a chiamare i vigili del fuoco, la polizia o un vicino di casa ogni volta che parte un segnale d'allarme dagli impianti delle varie case. Diverse parti dell'amigdala ricevono informazioni differenziate. AI nucleo laterale dell'amigdala pervengono diramazioni dal talamo e dalle cortecce uditiva e visiva. Gli odori, attraverso il bulbo olfattivo, arrivano all'area corticomediale dell'amigdala, mentre i sapori e i segnali viscerali finiscono nell'area centrale. Questi segnali in arrivo fanno sì che l'amigdala sia come una sentinella sempre all'erta, che analizza ogni esperienza sensoriale. Dall'amigdala si dipartono diramazioni verso ogni area principale del cervello. Dalle aree centrale e mediale un fascio va verso le aree dell'ipotalamo che secernono l'ormone corticotropo (Crh), la sostanza con la quale l'organismo reagisce alle emergenze, attivando la reazione di combattimento o fuga attraverso una serie di altri ormoni. L'area basale dell'amigdala invia diramazioni al corpo striato, collegandosi così al sistema cerebrale che regola il movimento. E, mediante il vicino nucleo centrale, l'amigdala invia segnali al sistema neurovegetativo attraverso il midollo spinale, attivando una vasta serie di reazioni a largo raggio che riguardano il sistema cardiovascolare, i muscoli e l'intestino. Dall'area baso laterale dell'amigdala si diramano fasci nervosi verso la corteccia del angolo e verso le fibre conosciute come «il grigio centrale», struttura che regola la muscolatura scheletrica. Sono queste cellule che fanno ringhiare il cane o marcare il gatto per minacciare l'intruso nel loro territorio. Negli uomini questi stessi circuiti tendono i muscoli delle corde vocali e creano il tono alto di voce emessa quando si ha paura. Un' altra via che si diparte dall'amigdala conduce al locus ceruleus , nel tronco cerebrale che, a sua volta, produce la noradrenalina e la diffonde nel cervello. L'eretto della noradrenalina è di aumentare la reattività complessiva delle aree cerebrali che la ricevono, rendendo più sensibili i circuiti sensoriali. La noradrenalina soffonde la corteccia, il tronco encefalico e lo stesso sistema limbico, in sostanza mette in tensione ii cervello. Ora, perfino uno scricchiolio consueto in casa può farvi provare un fremito di paura. Questi mutamenti in gran parte sfuggono alla consapevolezza, cosicché voi - non siete ancora coscienti di aver paura. Ma appena cominciate davvero a provar paura -- cioè quando l'ansia che è rimasta inconscia penetra nella coscienza« --, l'amigdala ordina all'istante una reazione di vasta portata. Essa segnala alle cellule del tronco encefalico di far assumere ai muscoli del viso un'espressione di paura, di rendervi nervosi e allarmati, di bloccare i movimenti già in corso non legati alla reazione, di accelerare il battito cardiaco, e alzare la pressione sanguigna e rallentare la respirazione (vi sarete accorti che, non appena provate paura, improvvisamente trattenete il respiro, ciò che vi permette di udire più distintamente eventuali altri rumori provocati da ciò che vi ha impaurito). Questa è solo parte di una serie di cambiamenti, ampia e ben coordinata che l'amigdala e le aree a essa collegate organizzano durante quelli che abbiamo definito «sequestri» neurali. Nel frattempo l'amigdala, insieme all'ippocampo a essa collegato, ordina alle cellule che inviano i neurotrasmettitori di provocare scariche, ad esempio, di dopamina, che vi inducono a concentrare l'attenzione sulla fonte della vostra paura -- gli strani rumori che avete udito -- e predispongono i muscoli a reagire di conseguenza. Allo stesso tempo l'amigdala comunica con le aree sensoriali della visione e dell'attenzione, facendo in modo che gli occhi cerchino tutto ciò che è rilevante per l'emergenza. Simultaneamente i sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati in modo che le conoscenze e i ricordi più pertinenti alla particolare urgenza emozionale possano essere prontamente rievocati, avendo la precedenza su altre linee di pensiero meno pertinenti. Una volta che questi segnali sono stati inviati, voi siete in preda alla paura: diventate consapevoli della caratteristica tensione dello stomaco e dell'intestino, del cuore che batte più in netta, della tensione dei muscoli del collo e delle spalle e del tremito delle membra; il corpo si immobilizza, mentre vi sforzare di udire altri suoni e correte col pensiero a identificare possibili pericoli ,in agguato e i modi per reagire. L'intera sequenza -- dalla sorpresa all'incertezza, all’apprensione alla paura -- può verificarsi in un secondo circa.

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