Lidia Sella - Pallottole - VIDEO

 
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TRA FORTEZZA E TRINCEA

Prefazione di Quirino Principe

La metafora è strumento primario della poesia. Nei poeti di alta statura, è pratica magica che consacra l'indistruttibi­ lità di un linguaggio poetico. Nei mediocri, è cautela, para­petto contro le cadute in agguato. Le figure retoriche sono i muri a secco, i camminamenti, gli schermi blindati, il filo spinato (uso traslati aspri e scabri), oppure le pareti tappez­ zate, i braccioli, i passamano, le balaustre di ferro battuto (uso figure addomesticate e confortevoli) con cui l'artefice costruisce a propria misura la murata e il bastingaggio, per non cadere scivolando nel mare dei non significati. Le armi retoriche sono di taglio (la similitu dine, l'analo­ gia, e, certamente, la metafora, e si annoverano l'antitesi, l'i­ perbole, la preterizione, l'ossìmoro, l'adynaton ... ) o di piat­to (la litote, l'antifrasi, l'anafora, l'omoteleuto, la perifrasi, la metonimia, l'apostrofe, la prosopopea... ). Chi sappia rac­ cogliere i doni concessi dal Myoç, eònico, e possegga talento per governarli, ha affinato in sé un'abilità virtuosistica che lo autorizza a ignorarli, in tutto o in parte, strisciando pericolo­ samente sui bordi dell'impavesata, a rischio di tuffarsi nella salsedine imbevibile del Non Significante. Nudo, non rive­ stito di elmi, corazze e schinieri retorici, il mediocre poeta rivela la nullità del proprio linguaggio, ma il poeta di rango riemerge sano e salvo, stillante preziosa acquamarina. Ritor­ na a bordo, severo e vestito di sacco come un anacoreta, o nobile sotto l'armatura d'argento e il manto stemmato come il cavaliere Launcelot innamorato di Elaine nel film muto di Charles Kent, o come i due casti amanti narrati da Tieck, Pietro di Provenza e Magelone di Napoli. Così, il poeta autentico sa essere spoglio, non esige frecce variopinte al proprio arco, veste di grigio in un paesaggio bianco e nero, colori della neve e della roccia, della spuma marina e del ferro. Nulla dell'espressività viene meno, nel­ lo scenario petroso delle quattro spinose canzoni di Dante. Altra grande poesia in prosa respira sulle onde di un mare nero-grigio, sotto un cielo grigio-nero. Accade nel Gordon Pym di Poe, e in quella sua antartica postilla che è La Sphinx des glaces di Jules Verne, dove la rarefazione degli aggettivi è proporzionale alla rarità dei traslati. Deposti, a terra, gli stru­ menti dell'ars rhetorica: tutti meno uno, l'artilicio primario. Non c'è poesia senza metafora. Forse. O forse no, se l'avventura della poesia ci porta, lungo una rotta marina, a incontrare strani oggetti natanti. Per esempio, una nave fantasma, allarmante già nel nome. Tale mi sembra il nuovo libro poetico di Lidia Sella. Se con­ sideriamo, fra i suoi lavori precedenti, le stazioni più vi­ cine, esso alterna allo stile calligrammatico del frammento non aforistico né "ermetico" bensì totalmente discorsivo (La figlia di Ar, 2011) il flusso che rompe gli argini e "non vuole" finire. Alle visioni dell'Amore in Occidente ( Eros, il dio lontano, 2012) esso sostituisce, con mutamento musi­ cale di registro, l'avversione implacabile. Quando e come, nell'altrettanto inesorabile flusso di una poesia che non si adatta al Tempo (Pensieri superstiti, 2019) ma è come se si sostituisse al Tempo, quando e come avviene quel muta­ mento d'intonazione? Forse, l'attimo decisivo è l'eliotiano punto d'intersezione, sul cui quasi impossibile arengo si scontrano due particelle elementari e infinitesime, il sì e il no. "Quasi" impossibile, poiché i procedimenti matematici per esaustione ci insegnano che lo spazio dello scontro non si riduce mai a zero. Soltanto i nostri sensi, che controllano un minimo tratto della scala dimensionale, credono che il "no" sia un "sì" continuamente cangiante, e anche questo è un pensiero superstite, che non è scivolato via poiché la grevità dei sensi lo ha trattenuto. Alla poetica del dubbio e dello sgomento dinanzi al co­ smo oltre il cui spazio-tempo s'intravede (io, certo, confesso d'intravedere) il puro e irredimibile orrore dell'Essere atem­ porale e invisibile (Strano virus zl pensiero, 2016), Pallotto­ le disegna un universo che ci travolge con sommovimenti e rovesciamenti non perché distrugga un ordine, ma poiché sogna, contro le consolationes religiose o laiche, quel Castigo Universale nell'aldiquà che molti, senza confessarlo, sogna­ no, e che io stesso, disperatamente, mi sforzo di realizzare. Tutto questo ha una suggestione visiva di immediata fisi­ cità, che nei precedenti libri di Lidia Sella già balenava con­ tinuamente e sorprendeva, ma qui possiede un sovrappiù di energia dinamica che oltrepassa la soglia della "prossemica" poetica, poiché qui la poesia si spinge ad affrontare a distan­ za ravvicinata, con un "a corpo a corpo" fisico, l'avversario, vedendo, della sua figura, il dettaglio che si vuole colpire. Perciò il titolo di questo nuovo libro, Pallottole, non potreb­ be essere più appropriato. Di qui la mia frase dubitativa: «o forse no». Una delle fun­ zioni esercitate dalle figure retoriche, murata e bastingaggio della navigazione poetica, portate al limite dell'indecifrabili­ tà in alcuni sublimi sonetti di Michelangelo Buonarroti e for­ se spinte al di là di quel limite nell'atroce Surgi de la croupe et du band di Mallarmé, è l'aiuto portato alla scelte tecniche e formali, e in particolare a due categorie di scelta. La prima è la guida strutturale del verso, qualora il poeta si decida per il metro regolare con gli accenti canonici sulle sillabe giuste, e ciò vale per la metrica della poesia post-antica (medievale in lingue volgari, e moderna) e vale più che mai per la me­ trica antica e "classica", greca e latina, o per i criteri formali di metrica seguiti da poeti non occidentali, come la Persia dei Robd'iyydt di 'Omar Khayyam, o i tanka giapponesi, o le liriche stellari di Li T'ai-Po e di altri autori cinesi dell'epoca T'ang). La seconda è la rima, a partire, in Occidente, dal V secolo, o la sua variante speculare che è l'allitterazione. In questo, come in altri libri poetici di Lidia Sella, gli stru­ menti retorici sono quasi interamente scomparsi, e persino la metafora appare di rado. Appare, ma l'energia di questa donna trascinata dalla poesia mostra di non averne bisogno per il suo far poesiam, per il suo "Kunstwollen". La rimozio­ ne degli strumenti, dei traslati e delle "figure", porta con sé la rimozione dei freni, e il discorso poetico erompe vulcani­ co. Leggendo, siamo sull'orlo del vulcano. La lava incendia e liquefa le pareti confinarie tra gli innumerevoli temi della requisitoria contro la "dittatura dell'Uno", e l'avvicendarsi delle visioni deve la propria ruggente efficacia all'improvvisa diversità dei registri e delle scene in movimento. Ad apertura di libro, in qualsiasi pagina siamo immediatamente immersi nell'implacabile enunciazione dell'Esistente. Un esempio per tutti, particolarmente crudele, risulta dalla sequenza di tre testi. «In ciò che scrivo l nei miei scatti foto­ grafici l non compaiono mai discariche l ciminiere l e centri commerciali ma solo reti di immagini e parole l a cattura­ re riverberi di quella bellezza greco-romana l sopravvissuta in qualche interstizio del mondo. l E nelle mie arterie morenti.» E in contrappunto, la poesia Atrocità, sul supplizio (Taiosa, sabato 9 febbraio 1619) del filosofo eretico Giulio Cesare Vanini appeso alla forca e arso vivo, vittima dell'infamia ec­ clesiastica e della delinquenzialità idiota della religione catto­ lica: «Ma prima il boia gli strappò con la tenaglia quella lin­ gua blasfema». E subito dopo, la poesia Surreale, tristemente comica, tanto da evocare aspetti della realtà a noi contempo­ ranea che forse sono più ripugnanti di altri. «Di lontano, quattro ragazzi seduti al bar, l ognuno con un libro aperto tra le mani. l Possibile siano concentrati nella lettura? l Miracolo o allucinazione? l Ma appena ti avvicini, l'illusione si sgretola: l sono intenti a consultare il menu delle bibite.». La poesia di Lidia Sella, in questo libro, non abita in un palazzo. Apre il fuoco da una fortezza, e quando attacca da vicino scende nella trincea del nemico. Quanta energia di sangue e di nervi, quanto desiderio di forza, contro un esistente davvero reazionario, davvero fascista, davvero bigotto, davvero autoritario! Contro la Poli­ zia del linguaggio, contro l'orwelliana anti-lingua già in atto, contro il linguisticamente corretto, contro il sequestro delle parole tentato ripetutamente dai turpi calabrache tradito­ ri dell'Occidente, del Myoç, della Bellezza, dell'Italia che i potenti della burocrazia, della cosiddetta "equità", della co­ siddetta "democrazia", della cosiddetta "solidarietà", della cosiddetta "bontà", della cosiddetta "fede", stanno persua­dendo al suicidio. Contro l'abuso di una parola imbecille, spesa come una moneta svalutata in progressione esponenziale: «Anche l'oggettività, imputata di razzismo?».

Quirino Principe

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