Il Doloce Stil Novo - Walter Casagrande

  UNA NUOVA LUCE: IL DOLCE STIL NOVO

 Dante usa la definizione di "dolce stil novo" nel canto 24 del Purgatorio ove egli incontra Bonagiunta..

«"Ma dì s'i' veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch'avete intelletto d'amore."
E io a lui: "I'mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando."
"O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo
che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!"»

(Purg. XXIV, vv. 49-57)

 

Da questa frase il vecchio Bonagiunta riesce a cogliere la lontananza e la differenza del novo stile al suo e capisce che la novità del “dolce stil” va cercata all’assoluta fedeltà d’amore  .   

Il Dolce Stil Novo, è un importante movimento poetico italiano sviluppatosi tra il 1280 e il 1310 inizialmente a Bologna grazie al suo iniziatore Guido Guinizzelli, ma poi spostatosi a Firenze dove si sviluppò maggiormente.

Per quanto riguarda la novità sul piano stilistico essa riguarda l'amalgama linguistico metrico sintattico che deve risultare "dolce". Occorre un volgare illustre che sia il più possibile elevato e puro e insieme musicale e melodioso. Il pubblico delle nuove rime è quello molto selezionato e ristretto che proviene dalla nobiltà feudale e dagli strati intellettuali più elevati. Gli stilnovisti si considerano una cerchia eletta che trova nella sua superiorità culturale e nella propria raffinatezza spirituale le ragioni di un prestigio sociale non più dipendente dalla nobiltà di sangue ma solo da quella dell'animo.

Con il superamento della corrente poetica siculo-toscana (Guittone d'Arezzo,  Jacopo da Lentini e lo stesso Bonagiunta Orbicciani) i cui versi cadono, talvolta, in vuote espressioni formali, una nuova luce s'intravede, nella realtà cittadina e nel rapporto con una donna che scende per strada e va a messa. La donna appare per via e la sua bellezza colpisce il cuore del poeta  come una nuova visione e una nuova concezione del sentimento dell'amore.

Con lo Stilnovo si affermava, quindi, un nuovo concetto di amore impossibile, con i suoi precedenti nella tradizione culturale, nonché il nuovo concetto di donna, concepita adesso come donna angelo, donna angelica: la donna, nella visione stilnovistica, ha la funzione di indirizzare l'animo dell'uomo verso la sua nobilitazione e sublimazione: quella dell'Amore assoluto identificabile pressoché con l'immagine della purezza di Dio.                                                                                                                           La donna angelicata, è oggetto di un amore tutto platonico ed inattivo.  Parlare di lei è pura ascesa e nobilitazione dello spirito, puro elogio e contemplazione descrittivo-visiva che consente al poeta di mantenere sempre intatta e puramente potente la propria ispirazione in quanto diretta ad un oggetto volontariamente cristallizzato e, ovviamente, giammai raggiungibile.

POETI STILNOVISTI

Gli stilnovisti maggiormente rappresentativi sono: Guido Guinizzelli (bolognese), considerato il precursore del movimento, Dante Alighieri, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Cino de' Sigilbuldi da Pistoia e Dino Frescobaldi.

Esaminiamo i più significativi:

Il primo stilnovista è stato senz'altro Guido Guinizzelli

Guido Guinizzelli

nasce a Bologna tra il 1230 e il 1240 e, secondo quanto riportato, muore a Monselice nel 1276. Sulla sua identità si hanno notizie scarse e discordanti: alla tradizione, che lo vuole podestà di Castelfranco, si è ormai sostituita un’altra ricostruzione, che lo identifica in un giudice o giurisperito, figlio di Guinizzello da Magnano e di un’esponente della famiglia Ghisilieri, di simpatie ghibelline, e di conseguenza profondamente inserito nella vicende politiche del suo tempo.: secondo questa ricostruzione, l’affermazione a Bologna del potere guelfo nel 1274 lo avrebbe portato all’esilio a Monselice, dove sarebbe morto due anni dopo.   La sua opera più importante è Il canzoniere, si compone di 15 sonetti e 5 canzoni.   Il poeta compone tra il 1265 e il 1276, ma non si ha una cronologia completa e affidabile delle sue opere. e questa incertezza sulla cronologia non permette una divisione accurata del percorso poetico dell'autore: con ogni probabilità si può definire una distinzione tra la prima giovinezza del poeta, di stampo guittoniano, e una seconda fase, che anticipa lo stilnovismo.  Rientrano nel primo periodo sonetti in settenari,  al secondo periodo, quello che si può definire come prestilnovista, appartengono le canzoni (in endecasillabi e settenari), i diversi sonetti il cui tema centrale è la lode dell'amata, quelli che anticipano le tematiche svolte in seguito da Guido Cavalcanti

Io vogli del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

Verde river’ a lei rasembro e l’âre,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.

Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ’l de nostra se non la crede;

e no·lle apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’ om mal pensar fin che la vede.

 

 

Guido Cavalcanti nasce nel 1258 circa a Firenze in una famiglia guelfa molto potente che ha partecipato alla battaglia di Montaperti (1260) . Di carattere solitario, dedito alla ricerca poetica  e allo studio, Guido Cavalcanti è tuttavia inserito nella vita politica della sua città, al punto da venir promesso, nel 1267, a Beatrice, la figlia di Farinata degli Uberti, per favorire la pacificazione tra Guelfi e Ghibellini. Nel 1280 Cavalcanti figura tra i garanti della pace cittadina, ma nel 1293 viene esonerato dalle cariche pubbliche, in base a quanto stabilito dagli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella.  Cavalcanti partecipa in prima linea ai violenti scontri tra guelfi bianchi (per cui Guido, legato alla famiglia Cerchi, parteggia) e neri, al punto da rischiare di venire ucciso da Corso Donati, comandante dei Guelfi Neri, durante un pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Nel 1300, durante il priorato di Dante, il livello degli scontri costringe le autorità cittadine ad esiliare i capi delle due fazioni; Guido è mandato così a Sarzana (nella regione della Lunigiana, al tempo particolarmente insalubre), dove probabilmente contrae la malaria. Richiamato a Firenze, Cavalcanti muore poco tempo dopo.

Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.

Deh, ballatetta, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».

Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.

Poetica e stile 

Guido Cavalcanti, studioso, filosofo e poeta, è anche l’animatore riconosciuto (e per certi aspetti il fondatore) del gruppo di poeti il cui movimento sarà poi riconosciuto come Stilnovo e che si pone sull’onda di sviluppo della lirica d’amore che va dalla poesia provenzale alla scuola siciliana. Il tema fondamentale della poesia è infatti una concezione d’amore che rielabora quella di Guinizzelli in direzione più intellettuale e drammatica, con significativi punti di contatto con le inclinazioni filosofiche dell’autore.

 La poetica d’amore di Cavalcanti è innanzitutto pessimistica: Amore è una forza ostile che coinvolge le facoltà umane e conduce inesorabilmente alla morte. Ad essere messe in luce sono due situazioni tipiche: l’angoscia che colpisce l’innamorato e il suo annichilimento, cioè la perdita di ogni facolta di reazione di fronte alla comparsa della donna. La poesia cavalcantiana si concentra così, partendo dalla base filosofica dell’averroismo.

Il poeta è infatti un esponente dell’averroismo, ovvero una forma radicale di aristotelismo all’interno della Scolastica medievale che si rifà alle opere del filosofo arabo Averroè (1126-1198). Il conflitto che l'amore genera nel corpo e nella mente dell’uomo e che alla fine lascia il poeta privo delle proprie funzioni vitali.

Al centro di tutto  c'è la rappresentazione interiore che l’uomo si fa della bellezza esteriore dell’amata. L’amore diventa di ostacolo alla conoscenza e provoca turbamenti interiori che culminano nell’oscuramento della ragione, da cui deriva l’impossibilità di dedicarsi all’attività speculativa dell’uomo.

Eppure, in opposizione a questa visione cupa e pessimistica del sentimento amoroso, la poesia di Cavalcanti presenta un altro aspetto di fondamentale importanza per il rapporto con lo Stilnovismo, ovvero la lode della figura femminile

La positività dell’amore, che si contrappone agli effetti drammatici della passione, si traduce allora in immagini e metafore che diventeranno riferimenti per i poeti della cerchia stilnovistica: il paragone tra la bellezza dell’amata e il mondo della Natura, il tema dell’apparizione della figura femminile nell’anima del poeta, l’affermazione convenzionale di non poter lodare a sufficienza la creatura femminile. Se quindi Cavalcanti getta le basi per la spiritualizzazione dell’amore degli stilnovisti, egli tuttavia non giunge mai a teorizzare la donna-angelo

Lapo, detto Lapo Gianni

 

Appartenne al gruppo fiorentino del Dolce stil novo e, in base ad atti storici articolati in un trentennio a cavallo fra Duecento e Trecento, risulta svolgesse molto probabilmente un'attività da notaio (viene spesso identificato con l'appellativo di notaio Ser Lapo, figlio di Giovanni Ricevuti, da cui il presunto cognome Gianni). . L’Archivio di Stato di Firenze conserva atti da lui rogati tra il 24 maggio 1298 e il 24 maggio 1328: poiché all’epoca occorreva aver compiuto vent’anni per essere ammessi al collegio notarile fiorentino si può calcolare la data della sua nascita negli anni 1278-80    Egli è, quindi, da identificare con il rimatore Lapo Gianni, a cui i manoscritti assegnano diciassette componimenti, che fu sodale di Guido Cavalcanti e di Dante Alighieri, menzionato da quest’ultimo nel De vulgari eloquentia.

Le sue composizioni - a detta dei critici - si distinguono per una particolare leggerezza e originalità.

È ricordato - oltre che per i suoi diciassette componimenti giunti ai nostri giorni (undici ballate, cinque canzoni e un sonetto doppio caudato) - per essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Guido Cavalcanti) nel celebre sonetto delle Rime che inizia con il verso Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io.

Mancano notizie precise sulla sua famiglia.

 

Nel vostro viso angelico amoroso

 

 

Nel vostro viso angelico amoroso

                 vidi i begli occhi e la luce brunetta,

                 che 'nvece di saetta

                 mise pe' miei lo spirito vezzoso.

Tanto venne in suo abito gentile

                quel novo spiritel ne la mia mente,

                che 'l cor s'allegra de la sua venuta.

                Dipose giù l'aspetto signorile

                parlando a' sensi tant' umilemente

                ch'ogni mio spirit' allora 'l saluta.

                Or hanno le mie membra conosciuta

               di quel signore la sua gran dolcezza,

               e 'l cor con allegrezza

               l'abraccia, po' che 'l fece virtuoso

 

 

DANTE ALIGHIERI

Non si può non concludere con la poesia di Dante che non solo cita e raggruppa i più significativi stilnovisti, ma estende l'idealizzazione dell'amore per la donna angelica alla esaltazione del sentimento dell'amicizia:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

 

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